Quando l’autorità manca di autorevolezza

Mi sono domandato tante volte quale sia la molla che spinge una persona ad assumere un incarico al di sopra delle proprie reali capacità e perché questo così devastante e scoraggiante fenomeno abbia avuto modo di diffondersi più ampiamente nella scuola.  Si tratta solo di una maggiore propensione della categoria per l’irresponsabilità, la spasmodica vanità, la ricerca maniacale del potere o di qualcos’altro?  Indubbiamente queste cose c’entrano, ma devono pur esserci fattori che rendano di fatto possibile, nella scuola, la conquista e l’esercizio del ruolo direttivo da parte di persone assolutamente inadatte, vuoi per mancanza dei più elementari requisiti umani e caratteriali, vuoi per incapacità bell’e buona.

          Negli ultimi due decenni, si sono accostati alla funzione direttiva soggetti, dai quali mai era stato espresso in tutto il loro passato il benché minimo interesse né verso il ruolo docente, né verso il proprio aggiornamento professionale, né tanto meno per la vita di un intero Istituto scolastico o il funzionamento generale della scuola. Soggetti, in qualche caso, già fortemente attratti o dalla politica o dall’imprenditoria o dalla scuola privata organizzata industrialmente, impegni che non hanno certo abbandonato una volta divenuti dirigenti scolastici. Se il fenomeno di cui si sta discorrendo è proliferato di più nella scuola, ciò è avvenuto per la maggiore facilità di accesso al ruolo dirigenziale che qui si è determinata, ovvero per la quasi assoluta mancanza di controllo dei requisiti nei confronti degli aspiranti-dirigenti, o per via della diffusa pratica del conferimento dell’incarico ai docenti che da più lungo tempo si sono trovati a svolgere la funzione di “collaboratori”.

         Se è dannosa l’inadeguatezza di chiunque svolga delicate mansioni professionali da semplice dipendente, molto più dannosa va definita quella del dirigente, di colui cioè da cui dipendono, oltre che l’efficienza e la produttività di un servizio o di un’azienda, anche la crescita dell’altrui professionalità. La grande serietà e gli alti valori professionali del dipendente difficilmente risultano comunicabili agli altri, vuoi perché raramente si è disposti a riconoscere alcun merito all’esempio di un collega, vuoi perché gli stessi suscitano piuttosto un’invidia irresistibile. Del resto, si sa: lo scambio di sapere professionale tra colleghi di lavoro è possibile solo a condizione che l’uno e l’altro abbiano “cose” da dare, oltre che “cose” da prendere. Un collega, che non ha niente o poco da dare e tutto da prendere, preferisce per lo più fare come ha sempre fatto, illudendosi persino di non avere da imparare niente da nessuno e di essere il migliore di tutti.

        L’esempio del dirigente, all’opposto, possiede una tale forza di contagiosità, – sia in positivo che in negativo, ovviamente –  che la stessa è inimmaginabile nell’esempio del semplice dipendente, quand’anche si trattasse del più “bravo” di tutti.  Niente, infatti, risulta a vari livelli più dannoso di un controllore che non controlla nessuno e che, a sua volta, non è controllato da nessuno o di un dirigente che non dirige nessuno e che non insegna niente a nessuno. Niente è altresì più dannoso di un dirigente, del quale, una volta assunto, nessuno provvede ad esaminarne l’operato, per valutare la sua capacità manageriale ed organizzativa, o la sua capacità di tenersi al passo con la ricerca riguardante la sua funzione e il suo settore.

         La dannosità del dirigente assolutamente inadeguato al suo compito si coglie non solo nell’elevata quantità delle inadempienze che si registrano quotidianamente nel suo lavoro, ma anche nel fatto che tratta i suoi dipendenti tutti allo stesso modo, come se fra gli stessi non si scorgesse alcuna differenza di valore. Da dirigenti di siffatta natura, per lo più, può sperare di trarre qualche magra considerazione o misero vantaggio il dipendente cortigiano e adulatore.

           Certo, comandare, dirigere, amministrare risulta un compito poco impegnativo e poco responsabilizzante, quando all’inadeguatezza di chi comanda, dirige o amministra si accompagna l’inadeguatezza del dipendente o dell’amministrato e/o quando sul dirigente non viene esercitata alcuna forma di controllo, né da parte delle rispettive Amministrazioni di appartenenza, né da parte dei cittadini democraticamente organizzati.

           Il potere – si sa – piace: qualcuno che lo gestisce ormai da tempo e ne conosce le pieghe anche più nascoste ci ha confessato che esso rende persino più attraenti. Ma è indubbio che, se vogliamo davvero invertire la rotta fin qui seguita, non serve molto parlare di riqualificazione del personale dirigente che già c’è. La qualificazione del personale dirigente non è di facile attuazione; cosa più realistica e, nel contempo, proficua è cambiare al più presto le regole preposte al suo reclutamento, così da renderle più efficaci proprio sotto il profilo della selettività.   Non è concepibile che un personale così importante sia reclutato con le inadeguate ed assolutamente inattendibili forme concorsuali, tuttora in vigore. Nella scuola, dove le cose sono state ancor più complicate dai numeri troppo elevati e dalla frettolosità con cui, negli anni della seconda ondata della scolarizzazione di massa, si è dovuto provvedere al reperimento di presidi e direttori didattici, oltre che di docenti, questa modalità di reclutamento ha prodotto gravissime conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

       E’, comunque, certo che, fino a quando i controllori resteranno incontrollati e nessuno  – né tra i dipendenti, né tra gli utenti del servizio –  riuscirà ad esprimere il proprio disagio, i primi per l’insopportabilità del mancato riconoscimento dei propri meriti, i secondi per la mancata attuazione di diritti sacrosanti, come quello dell’istruzione, altre “facce toste” si accosteranno tranquillamente ai posti di comando, pur senza possedere neppure uno solo dei requisiti indispensabili all’esercizio del ruolo dirigenziale; che è quanto è avvenuto nella nostra regione con l’ultima sfornata di dirigenti scolastici.

      In realtà meno degradate e più civicamente evolute pare non sia possibile restare troppo a lungo seduti su una poltrona senza la necessaria autorevolezza. Qualcuno, a cui è capitato di dovere andare a dirigere, per il cosiddetto anno di prova, un Istituto scolastico in queste intensamente reattive realtà sociali, si dice che abbia dovuto abbandonare tutto in fretta e furia, per venire ad occupare un posto per fortuna subito vacante in più quiete e tranquille realtà.

     Quali si possano ritenere i più fecondi ed efficaci fondamenti del comandare non è facile dire. C’è gente pronta ad ubbidire anche alla semplice autorità, spoglia di tutto. Ad altri, per provare stima e fiducia verso chi comanda, occorre trovarsi di fronte all’autorevolezza, che – a differenza dell’autorità d’ufficio – è cosa che si conquista sul campo con la competenza, la cultura, le doti manageriali, l’intelligenza, l’umanità, la correttezza, la squisitezza, la lealtà, il coraggio. E’ questa autorevolezza, questo ascendente personale, la sola energia capace d’infondere effettivo prestigio ad un’autorità.

          Se colui che comanda è privo di autorevolezza, egli non può né dirigere, né governare, né stimolare gli altri ad essere o a non essere in un certo modo o a fare o a non fare più certe cose; che è quanto sperimenta ogni giorno anche il docente nei confronti dei suoi discenti.   Da sola l’autorità, ovvero il potere giuridico che discende dall’esercizio di qualsivoglia ruolo, non può generare nient’altro che un più o meno palese disprezzo o, tutto al più, l’ossequio meschino di quella categoria, fatta dagli insicuri e dimessi dipendenti.

         Noi restiamo fermamente convinti che il più grosso impedimento del progresso culturale, sociale ed economico di qualsiasi comunità sia costituito proprio dalla mancanza di una classe dirigente bene attrezzata in ogni senso e davvero all’altezza del suo compito. Gli spazi di sempre maggiore autonomia, che ad ogni livello si vanno sempre più aprendo nel Paese in conseguenza dell’applicazione del principio federalistico, sia nel funzionamento della macchina politico-burocratica che in quello dei servizi essenziali, fanno più chiaramente percepire l’importante ruolo che è svolto appunto dalle classi dirigenti.

        Insomma, se non si riuscirà in futuro ad impedire che altre facce toste di dirigenti inetti ed imbecilli occupino posti di guida e di comando in settori importanti e delicati, come quello scolastico, sarà difficile immaginare come possibile un riscatto delle popolazioni, in tutti i sensi, più bisognose e disagiate.

N.B.: L’articolo, qui postato, è stato pubblicato da “Nuova Secondaria“, mensile di cultura, orientamenti educativi, problemi didattico-istituzionali per la Scuola Secondaria Superiore, n. 8, anno XX, 15 aprile 2003, pag.108, e da “Scuola e didattica“, problemi e orientamenti per la Scuola Media, n.14, anno XLVIII, 1 aprile 2003, pag.92, entrambe dell’Editrice La Scuola di Brescia.

 

 

 

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