Decalogo del galantuomo

        Dovendo trovare un termine per designare una persona dotata di quasi tutte le qualità più importanti, galantuomo – che è usato un po’ da tutti, colti e incolti – ci è parso più appropriato di ogni altro. Appartiene a quel genere di parole cosiddette composte, nelle quali lo spostamento da un estremo all’altro dell’aggettivo ha l’effetto di modificarne completamente il significato. Galantuomo come, ad esempio, poveruomo significano, infatti, ben altra cosa, se si trasformano in un uomo galante o povero.

     Da che mondo è mondo, quella dei galantuomini è risultata sempre una specie molto rara, anche se si continua erroneamente a credere che sia la propria epoca ad esserne più sprovvista delle altre. Il fatto più sorprendente è semmai che non c’è ambito al quale si possa dire che più propriamente appartengano i galantuomini. La sua specie è divenuta, purtroppo, rara persino negli ambiti a forte vocazione educativa, come la chiesa o la politica, nei quali, in un tempo non troppo lontano, si contribuiva a forgiarlo il galantuomo, in quanto negli stessi era, più fortemente che altrove, avvertito – e dovrebbe essere avvertito anche oggi – l’obbligo della coerenza e della testimonianza. Purtroppo il comportamento e la mentalità di tante persone che bazzicano in detti ambiti talvolta stridono con i principi e i valori che ci si aspetterebbe fossero praticati dalle stesse.

    Ma non bisogna erroneamente credere che il galantuomo sia un santo, ovvero una persona in tutto e per tutto perfetta. L’importante è che abbia quelli che a noi piace chiamare “i fondamentali” dell’essere galantuomo, i quali attengono, non tanto a modi esteriori, ma ad aspetti e comportamenti davvero importanti della persona e su cui viene normalmente a fondarsi la stima profonda che quasi istintivamente si prova nei suoi confronti. Insomma, il termine in esame non va ovviamente confuso con quello di gentleman, ovvero con la persona dotata semplicemente di buone maniere. Se così fosse, non ci sarebbero ragioni per lamentarne eventualmente la rarità.

     Il primo “fondamentale” del galantuomo si può considerare quello della bontà gratuita e disinteressata, dettata da nient’altro che dal naturale amore e rispetto del prossimo. Una bontà non certo di facciata o di bella mostra, sulla cui origine si può discettare quanto si vuole, senza tuttavia venirne a capo. La nascita della bontà, in fondo, ha in sé qualcosa di misterioso. Da che cosa derivi la naturale bontà dell’individuo, infatti, non è facile a dirsi, tant’è che il buono sovente continua imperterrito nei suoi atti di bontà, sebbene in più casi non ne tragga altro che irriconoscenza bell’e buona o dileggio addirittura. Dopo esserci posti più volte tale dilemma, siamo sempre giunti alla medesima conclusione: c’entreranno di sicuro i cromosomi dei genitori, ma non deve essere di poco conto l’incidenza della formazione morale ricevuta in famiglia, a scuola e nel sociale e attuata comunque non attraverso le chiacchere, ma attraverso concreti esempi di vita.

     Ma il “fondamentale” più fondamentale di tutti è da sempre quello dell’onestà senza “se” e senza “ma”. L’onestà, che attiene alla sfera morale della persona, trova normalmente applicazione in più ambiti di azione, che vanno da quello privato, intimo, che riguarda il rapporto che si ha con le persone più vicine, a quello pubblico, nel quale si spendono le virtù civiche e sociali. È certo comodo intenderla secondo il ristrettissimo concetto giuridico che la fa coincidere con l’assenza dei reati riconosciuti come tali. La verità, invece, è che l’onestà non la si nega certo commettendo chissà quali reati e che esistono una serie di comportamenti, tanto penalmente irrilevanti, quanto moralmente negativi e odiosi, che contribuiscono non poco a caratterizzare l’effettiva immagine della persona. C’è, dunque, una disonestà invisibile ai più e nota ai pochi che ne sono vittime, che non peserà di certo sulla giustizia terrena, ma che senz’altro ha un suo rilevante peso sulla tranquillità della coscienza individuale, oltre che –  per chi ha fede –  sulla bilancia della giustizia divina. Per questo il cristiano è doppiamente chiamato al comportamento onesto e da lui l’onestà comunemente la si esige più che da chiunque altro. E non c’è cosa capace di orientare di più alla fede chi ne è sprovvisto, che vederla quotidianamente testimoniata nei fatti da coloro che a parole si professano cristiani.

       Ragion per cui si può, ad esempio, misurare l’onestà o la disonestà di una persona anche in un semplice rapporto amoroso, nelle dinamiche del quale sembra che non si abbia più nemmeno a che fare con la sfera del peccato. Sono, insomma, così profondamente cambiati, al giorno d’oggi, i metri di giudizio morale della gente comune, che ingannare una ragazza, illudendola di amarla, per riuscire a portarsela a letto, non è più sentito né come un atto di disonestà, né tantomeno come un peccato. Che dire, poi, delle non poche illecite azioni quotidiane che, derubricate ormai da tempo dal campo della disonestà e della scorrettezza, sono comunemente classificate come lecite, perché ritenute dalla mentalità oggi imperante come mere ed insignificanti “furbizie”, a cui, se ci si sottrae, si rischia di passare per scemi. Accade così che, tanto per fare qualche esempio, portarsi a casa propria da un ufficio pubblico una risma di carta, o allontanarsi dal proprio luogo di lavoro (pubblico), per andare a prendersi un caffè nel bar di fronte, o a giocare in un bocciodromo, ecc., sono ritenute, con convinzione assoluta, azioni nelle quali non ci sia alcunché di male.

    È chiamato galantuomo, inoltre, colui che, pur essendo nelle condizioni di farlo, non approfitta mai di chi si trova ad occupare una posizione sociale meno favorevole della sua; che non fa esageratamente mostra di sé; che non s’insuperbisce, se fa decentemente ciò che decentemente è chiamato a fare dalla professione che svolge e dal proprio dovere sociale e civile; che non sparla alle spalle di nessuno per il puro piacere di denigrare gli altri; che non va diffondendo cose non vere, per seminare disprezzo, discredito e zizzania; e che non s’impiccia nei fatti altrui per invidia o per il semplice gusto di soddisfare una tanto gretta quanto meschina curiosità.

     Un’altra bella qualità, – da sempre una rarità -, è quella della naturalezza e dell’autenticità, che fa a pugni con l’ipocrisia e con la falsità, di cui, in questi tempi, vediamo pieni a bizzeffe i social network, così prepotentemente penetrati nella vita di migliaia e migliaia di persone, non più solo giovani, né più solo incolte o prive di altisonanti titoli di studio, e in larga parte pronte a prendere per buono tutto ciò che circola in rete, la quale è divenuta ormai una sorta di “Bibbia della verità assoluta”. Oltretutto, dire sempre ciò che si pensa, mantenere la parola data, comportarsi lealmente, evitando escamotage per sfuggire a responsabilità e doveri ed essere gentile ed educato con chiunque, è quanto ci si aspetta, quasi obbligatoriamente, da un vero galantuomo. Ma, come è stato egregiamente affermato da Pirandello, “È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere una volta tanto; galantuomini, si dev’esser sempre”.

 

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