Sull’eterno tabù dell’omosessualità

Un  argomento delicato e controverso, sul quale ha da sempre gravato il giudizio morale, contribuendo non poco ad oscurare l’esatta comprensione dei suoi autentici significati, è certamente quello dell’omosessualità, fatto oggetto, nel corso del tempo, di fraintendimenti, pregiudizi e mistificazioni.

C’è chi giudica l’omosessualità una colpa, ritenendola il frutto di una scelta della persona, come se essere omosessuale corrispondesse ad una piacevole condizione esistenziale, o come se la stessa non fosse tradizionalmente guardata come uno dei più spregevoli e gravi peccati dal punto di vista religioso.[1]

Alcuni sbrigativamente la considerano una semplice perversione, cioè una condizione innaturale, alla stregua di una malformazione fisica, e  tale da indurre chiunque a nutrire nei suoi confronti un quasi viscerale disprezzo, neppure tanto velato o nascosto.

Altri, invece, adottando un approccio di tipo medico-scientifico, la considerano una malattia vera e propria, nel senso che per gli stessi trattasi semplicemente dell’effetto di un genetico squilibrio ormonale.

Non pochi, comunque, risultano coloro i quali ritengono che omosessuali si nasca e che a questo orientamento sessuale sarebbe giusto riconoscere la stessa legittimità e dignità di cui gode quello eterosessuale, sebbene gli omosessuali siano comunemente di numero piuttosto limitato. Va aggiunto, a tal proposito, che chiunque abbia avuto modo di cogliere l’omosessualità fin dai primi germogli e di osservare le sue manifestazioni infantili, non può che convincersi ancora di più dell’assoluta giustezza dell’istanza appena avanzata.

Ciò è quanto è casualmente avvenuto allo scrivente, che ha avuto la rara opportunità di seguire l’evoluzione fisiologica e psicologica di un cugino omosessuale, durante il lungo periodo della reciproca crescita, e delle cui sorprendenti e inconsuete caratteristiche si compiaceva tantissimo l’amorosa e inconsapevole madre.

Il piccolo Vincenzo – alla cui memoria dedico il presente lavoro – prediligeva da bambino le mansioni femminili, esprimendo nei confronti, sia dei fratelli che dei coetanei, una riservatezza e un pudore che, riguardo alla propria sfera intima, apparivano insolitamente più accentuati del normale. La madre, ignorando di cosa fossero il preludio le inconsuete predilezioni e gli innocenti comportamenti del figlioletto, era portata a ritenerli meri segni della di lui grande mitezza e bontà d’animo.

Certo avrebbe poco senso seguitare a ricostruire gli ormai classici e fondamentali passaggi della successiva formazione del carissimo cugino Vincenzo, scomparso da poco, fino alla traumatica rottura con la propria famiglia di origine e al definitivo distacco dal padre, il genitore tradizionalmente più rigido e impacciato in una situazione del genere.

Va da sé che, riguardo all’omosessualità, si sia venuto negli ultimi decenni a determinare un profondo cambiamento di costume e di mentalità, nel senso che, mentre nel lontano passato si era portati a nascondere il più a lungo possibile quella propria, ai giorni nostri la stessa viene accettata senza grossi patemi d’animo.

In passato, a motivo dell’ampia diffusione dell’atteggiamento omofobo, l’orientamento omosessuale, da un lato, veniva comunemente associato ad un forte senso di vergogna e, dall’altro, era vissuto col timore continuo di essere scoperti all’interno della propria comunità di appartenenza.  Per questo motivo, si contavano sulle dita di una mano coloro che, specie nei piccoli centri, erano disposti a farsi pubblicamente riconoscere come degli omosessuali.[2]

Alla luce di quanto fin qui affermato, c’è poco da stupirsi del grande scalpore che ebbe a suscitare l’ormai famosa affermazione, pronunciata da Papa Bergoglio la notte del 28 luglio del 2013 sull’aereo con cui stava rientrando dal Brasile: “Chi sono io per giudicare?”, nel rispondere alla domanda che gli era stata posta da un giornalista a riguardo dell’atteggiamento da adottarsi nei confronti dell’omosessuale.

Nella brevissima e semplice risposta retorica di Papa Francesco erano, tuttavia, racchiuse altre e ben più profonde domande quali:  perché mai non si possa e non si debba accogliere nella comunità cristiana l’omosessuale, se questi è un bravo credente, va a Messa ogni domenica e osserva, nella vita di tutti i giorni, i comandamenti evangelici.

In altre parole, che comportamento da buon cristiano è quello di chi non ha la benché  minima considerazione dell’omosessuale e non prova nessun rispetto verso lo stesso, la cui condizione, per quanto risulti numericamente minoritaria in società, è comunque da ritenersi del tutto naturale e non figlia di alcun atto di volontà.

Comprensibilmente diverso e opposto diviene l’atteggiamento di Papa Francesco nei confronti della complessa realtà omosessuale, quando la stessa è da lui colta tra gli innumerevoli scandali sessuali che da tempo ormai imperversano nelle chiese di tutto il mondo, proprio a motivo della sua inarrestabile diffusione.

Perché, qualunque sia l’orientamento sessuale del riprovevole sacerdote, fare sesso è assolutamente sconveniente e non si adatta affatto alla sua vita. E, del resto, l’obbligo della castità è necessariamente più impellente e doveroso di quello formale ed esteriore del celibato. Celibi – si sa – lo sono tutti i sacerdoti, anche quelli dalla vita sessuale movimentata e disordinata, perché il celibato attiene alla sfera pubblica; la castità a quella privata e intima.

Ad aprire un immenso e profondo squarcio nel fitto e misterioso mondo della Chiesa è stata una recente Inchiesta[3], la quale, per quanto sia passata un po’ in sordina e inosservata nel panorama editoriale italiano, ha avuto il grande merito di far cogliere la vasta portata del fenomeno degli scandali sessuali ecclesiastici e la fondamentale causa che lo ha originato.[4]

In detta Inchiesta si legge che “L’onnipresenza di omosessuali in Vaticano non è una semplice deriva da pecora nera, né una rete che contiene pesci cattivi, come diceva Ratzinger. Insomma, non è una lobby, né un gruppo di dissidenti, né una setta […] è un sistema.. Non è una piccola minoranza, è la grande maggioranza”.

Quanto alla causa di questa così grave epidemia, sempre nello stesso capitolo si legge: “In questo paese, la carriera ecclesiastica è stata per lungo tempo la soluzione ideale per molti omosessuali che avevano difficoltà ad assumere il loro orientamento sessuale. Decine di migliaia di sacerdoti hanno sinceramente creduto che la vocazione religiosa fosse la soluzione al loro problema. Questa è dunque la prima regola di Sodoma: il sacerdozio è stato a lungo la via di fuga ideale per i giovani omosessuali. L’omosessualità è una delle chiavi della loro vocazione”.

Nel sacerdote si trovano, dunque, a combattersi strenuamente l’intensità della Fede religiosa, da una parte e, dall’altra, la sfrenatezza di una sessualità, come quella omosessuale, la cui fondamentale caratteristica sembra sia costituita dall’incapacità di reprimersi e di autocontenersi.

Dalla triste vicenda del compianto cugino, sopra sintetizzata nei suoi tratti fondamentali, possiamo imparare tutti – credenti e non – che nei confronti dell’omosessuale bisogna provare sempre profonda comprensione, tanta solidarietà e un cristiano rispetto, specie nei casi cui l’omosessualità non risulta ostentata, come  solitamente viene fatto da parte di taluni stomachevoli personaggi dello spettacolo.

Nel concludere la presente e difficile riflessione, il mio pensiero se ne va spontaneamente alla persona omofoba, alla quale, dopo aver sempre disprezzato l’omosessualità, la sorte riservi proprio ad essa di avere un figlio omosessuale.

[1] Dante – tanto per consentire di cogliere il lontanissimo tempo da cui data la pessima considerazione attribuita agli omosessuali  – ha  inserito nel settimo cerchio (terzo girone) dell’inferno i peccatori di sodomia, come l’omosessualità veniva denominata in epoca medievale.

[2] In Crotone, come ricorderanno facilmente i lettori meno giovani, uno di questi fu il leggendario Vito Bacco, reso ormai immortale dal film pasoliniano “Il Vangelo secondo Matteo” e che appunto, durante tutta la sua vita, non nascose mai a nessuno la propria omosessualità.

[3] Frederic Martel, Sodoma, Feltrinelli Editore, Milano 2019

[4] Si precisa a tal proposito che la principale ragione delle clamorose dimissioni di Papa Ratzinger fu proprio la dolorosa scoperta, da parte sua, dei dilaganti scandali sessuali della Chiesa, la quale lo aveva indotto ad affermare: “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa”.

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