La necessità dell’autonomia scolastica scaturisce essenzialmente da due evidenti constatazioni. La prima è che la scuola, così com’è, non va: a fronte della seconda ondata di scolarizzazione di massa, che ha innalzato, in modo considerevole (82%), il numero di coloro i quali si iscrivono alla scuola superiore, si è assistito in questi anni ad un graduale, ma inesorabile declino – ad ogni livello – degli standard produttivi. L’incidenza educativa, cioè, si è fatta tale, da fare apparire quasi del tutto impercettibili i frutti dell’azione svolta dall’istituzione scolastica.
La seconda constatazione è che l’ottimizzazione del servizio scolastico non può realisticamente essere attesa dallo Stato centralistico, che ha mostrato fino ad oggi tutta la sua incapacità in tal senso. Altri ritengono piuttosto che lo stesso Ministero di viale Trastevere, preso atto della propria incapacità, abbia preferito pilatescamente affidare alla periferia la soluzione dei difficili problemi e delle grandi sfide, con cui fa oggi i conti la scuola, così declinando ogni sua diretta responsabilità.
E’, tuttavia, innegabile che la maggiore libertà d’iniziativa in fatto di didattica, di gestione e di organizzazione consentirà, almeno in linea teorica, alla struttura scolastica di funzionare meglio e di adattare quanto più efficacemente l’offerta formativa ai bisogni degli utenti.
Del resto, a richiedere l’autonomia scolastica è la stessa complessità sociale dei giorni nostri, la quale, come è noto, risulta caratterizzata da più di un fattore. Sembrano, da un lato, ormai venuti meno, dal punto di vista ideologico-valoriale, i tradizionali punti di riferimento, mentre è portata alle estreme conseguenze la concezione relativistica. Dall’altro lato, domina incontrastata e si estende sempre più la realtà televisiva, così che aumenta il distacco del giovane odierno dalla lettura e più marcate si fanno le sue difficoltà a manipolare con ricchezza espressiva e con ordine gli strumenti della logica e del linguaggio. La scuola non può certo permettersi d’ignorare in quale contesto venga a svolgersi la sua funzione educativa.
L’idea di fondo, comunque, che sta dietro all’adozione del regime autonomistico, è che la scuola di ogni ordine e grado non abbia potuto finora esprimere tutte le proprie potenzialità, ingessata com’era da regole e pastoie burocratiche.
L’altra convinzione, che fa da supporto all’autonomia, è che un forte impulso all’ottimizzazione del servizio potrà venire senz’altro dalla concorrenza tra le singole Unità Scolastiche. Ma la concorrenza – è bene tenerlo presente – potrà svilupparsi solo nei grossi centri, in cui sono già presenti più scuole dello stesso tipo, comprese quelle che risultano gestite privatamente. A meno che – come da un po’ di tempo accade – le famiglie tengano conto, non tanto della specificità dell’indirizzo di studi, quanto dell’efficienza del servizio che a vari livelli è assicurata dalla singola Unità Scolastica.
L’autonomia farà ovviamente emergere, con evidenza maggiore che in passato, l’inadeguatezza, i ritardi, le contraddizioni, il negativo condizionamento delle vecchie e resistenti abitudini e le precarietà materiali, di cui da sempre soffrono le singole realtà scolastiche.
Nel momento in cui si passerà alla fase attuativa, risulterà chiaro che senza un effettivo riconoscimento – sia in termini economici che giuridici – dei valori e delle capacità professionali espressi dai docenti che andranno ad impersonare le “figure di sistema”, l’autonomia si ridurrà in qualcosa di assolutamente disincentivante. D’altra parte, non si capisce perché, a fronte delle allettanti prospettive assicurate agli attuali presidi e direttori con il riconoscimento della “dirigenza”, si debba prevedere per i “bravi” ed impegnati docenti solo l’umiliante manciata di quattrini della cosiddetta incentivazione.
Notevoli cambiamenti con l’autonomia avverranno nel ruolo sia del docente che di quello del capo d’istituto. L’assunzione, da parte di quest’ultimo, della denominazione di “dirigente scolastico” non rappresenta una novità meramente nominalistica. Si tratta ovviamente di qualcosa di ben sostanziale, visto che con l’entrata del regime autonomistico si apriranno, tra le sue mansioni, spazi d’intervento e di iniziativa a tutti i livelli. Al dirigente scolastico spetta farsi regista, coordinatore e garante del processo di attuazione dell’autonomia. Allo stesso è affidato il delicato compito d’individuare e valorizzare le risorse professionali e materiali presenti nel suo istituto; e, ove le risorse professionali dovessero risultare non ancora ben definite, è il dirigente scolastico che dovrà porre in essere le condizioni più favorevoli allo sviluppo sul campo delle competenze che mancano. Cosa ben più difficile è sanare i disagi di carattere materiale, derivanti dalle gravi inadempienze e dagli errori e ritardi accumulati negli anni dagli Enti locali, come regione, provincia e comune.
Non meno importanti i cambiamenti che riguardano i docenti, a cominciare da coloro che saranno scelti dal dirigente come suoi collaboratori. La prassi, che è stata seguita fin qui, dell’elezione di questa figura da parte del Collegio dei docenti, oltre a risultare discutibile dal punto di vista della forma, visto l’esito scontato di tale tipo di elezione, non sembra fornire sufficienti garanzie circa l’effettivo possesso delle qualità culturali, gestionali e professionali.
I collaboratori, oltre che scelti sulla base di specifiche competenze, dovranno essere investiti di precise funzioni che, andando ben al di là della semplice consultazione, non possono non essere connesse con la gestione dell’autonomia scolastica.
Ma non sono solo i collaboratori a dover essere investiti della necessità del cambiamento, bensì tutti i docenti. Con l’autonomia dovrebbe diffondersi la pratica dell’insegnamento in compresenza e si dovrebbe passare dall’impostazione individualistica della didattica a quella collegiale. In fatto di atteggiamenti, fondamentale risulta quello della disponibilità a rivedere con sistematicità ogni aspetto del sapere professionale, al fine d’innovare profondamente il proprio lavoro.
Con l’autonomia si aprirà per i docenti un’ampia ed interessante gamma di funzioni che, se attuate col necessario entusiasmo e con il dovuto rigore, apporteranno un radicale rinnovamento nel funzionamento della scuola.
ELIMINARE LE RIGIDITA’
La parola-chiave della scuola dell’autonomia è “flessibilità”, dal momento che non c’è aspetto della vita scolastica che si possa concepire rigidamente come sempre uguale a se stesso. Tutto – orario settimanale, ora di lezione, consiglio di classe, classe, cattedra, aula, ecc. – in regime di autonomia non può non subire variazioni. Se non ci si libera del modo in cui questi importanti aspetti sono stati finora strutturati, l’autonomia rischia di restare solo una parola vuota di significato.
Alla scuola abituata a predisporre una volta per tutte, ad inizio d’anno, l’orario settimanale, risulterà certamente difficile accettare che lo stesso cambi da un mese ad un altro e che possa riferirsi ad attività e progetti diversi. Non si tratta di predeterminare una successione di ore di lezione, sempre uguale a se stessa, ma di programmare una fase di percorso per volta e gli obiettivi ad essa relativi. Quel che è certo è che l’orario non sarà articolato più solo secondo le materie scolastiche, né avrà necessariamente come propri destinatari le classi, potendo essere rivolto ora a gruppi comprendenti due o più classi, ora a gruppi di studenti appartenenti a classi diverse.
Organizzare rigidamente il tempo-scuola di una classe equivale, in fondo, ad ipotizzare la partenza simultanea di tutte le discipline, come se tra queste alcune non fossero propedeutiche ad altre. Come si può vedere nell’esempio di Orario settimanale di una prima classe di Liceo Scientifico, sotto riportato, in fase iniziale è assegnato il maggior numero di ore alle attività di Accoglienza, mentre non figurano affatto discipline come il latino, la storia e la geografia. Nelle discipline, come l’italiano, la matematica e la lingua straniera, tutto l’impegno è volto, da un lato, ad accertare e conseguentemente ad omogeneizzare i livelli di partenza e, dall’altro, a favorire la socializzazione e l’adattamento dei soggetti educandi al nuovo contesto scolastico.
Durata | Lunedì | Martedì | Mercoledì | Giovedì | Venerdì | Sabato |
---|---|---|---|---|---|---|
1h,30 | Accoglienza – “La mia scuola” | Matematica – Test d’ingresso | Italiano – recupero prerequisiti | Accoglienza – Organizzazione studio | Italiano – test accoglienza | Italiano |
1h,30 | Italiano – Test d’ingresso | Accoglienza – “Statuto studente” | Accoglienza – “Io e lo studio” | Matematica – recupero | Matematica – Test accoglienza recupero | Matematica – Test d’ingresso |
1h,30 | Lingua straniera – Test d’ingresso | Educazione Fisica | Religione* | Educazione Fisica* | Lingua straniera – recupero** | Lingua straniera – Test d’ingresso |
(*)1h;
(**)2h;
Per una necessità di carattere organizzativo, è preferibile ovviamente che siano proprio i docenti delle discipline temporaneamente non incluse in orario ad occuparsi delle attività sostitutive, come quelle previste dal progetto di Accoglienza e/o di Continuità. Ciò – è bene rendersene conto – non è cosa che possa dipendere dalla sola volontà degli interessati, qualcuno dei quali probabilmente si troverà nella condizione di non potere essere in grado di rispondere con la necessaria attrezzatura e con gli indispensabili requisiti ai compiti cui è chiamato. Qui l’attuazione dell’autonomia mostra uno dei suoi punti deboli.
Anche la cosiddetta “ora di lezione” dovrà essere concepita come qualcosa di flessibile, ovvero di adattabile alle necessità didattiche proprie dei progetti in via di realizzazione. Con l’autonomia sarà finalmente possibile temporizzare le discipline, in modo da far corrispondere, secondo una logica di efficienza e di coerenza, tempi e attività di lavoro. L’unità oraria non coinciderà necessariamente con l’ora, potendo consistere in misure temporali diversificate in base appunto alle effettive esigenze dell’attività didattica.
Non si può neppure concepire il consiglio di classe come uno statico raggruppamento di docenti. Con l’autonomia è data la possibilità di associare i ragazzi di più classi a più di un progetto e, pertanto, di far loro ricevere stimoli anche da parte di docenti diversi da quelli del proprio consiglio di classe, associandoli ad un più ampio ventaglio di opportunità formative. Attraverso la realizzazione dei vari progetti e delle attività condotte in compresenza verranno poste in essere condizioni tali da liberare risorse professionali e da metterle al servizio del maggior numero dei soggetti educandi che compongono una comunità scolastica.
Finora la classe è stata rigidamente concepita in base all’unico fattore dell’età cronologica; con l’autonomia sarà possibile pensare, oltre che a gruppi destinatari di iniziative didattico-educative comprendenti più classi, ad insiemi di ragazzi provenienti da classi diverse, ma uniti dalla partecipazione o dall’interesse per uno stesso progetto o itinerario culturale.
La novità indubbiamente più rilevante, che si potrà determinare con l’autonomia, è quella che riguarda la struttura delle cattedre. Se non si agisse su questo così importante elemento, non si vede quali concreti effetti potrebbe avere l’autonomia scolastica. Operando in base alla logica della specializzazione delle mansioni, occorrerà procedere alla scomposizione delle discipline, ovvero all’individuazione – all’interno di ciascuna più importante disciplina – dei fondamentali nodi di contenuto e delle principali abilità, così da creare dei veri e propri specialisti di obiettivi dei maggiori obiettivi disciplinari. Una cattedra, comprendente più discipline, potrà diventare monodisciplinare o potranno tra le discipline crearsi abbinamenti, meglio rispondenti alle competenze del docente o più funzionali alle esigenze dei progetti messi in cantiere. Vengono così a crearsi cattedre che potremmo definire di progetto, nel senso che assumono la denominazione propria di quest’ultimo. Alla cattedra pluriclasseattuale, costituita verticalmente, si potrebbe nella scuola dell’autonomia preferire la cattedra monoclasse, cioè formata orizzontalmente da più classi prime o seconde, ecc. Al ministero non può che interessare una cosa sola, che sia cioè rispettato il carico delle ore di servizio, stabilito a livello nazionale.
Bisognerebbe, infine, eliminare l’unicità spaziale e funzionale, che caratterizza attualmente l’aula scolastica, ma questo comporterebbe un onere finanziario che l’amministrazione statale non può certamente sopportare. Nella costruzione dei futuri edifici occorrerà, tuttavia, tenere conto delle esigenze della scuola dell’autonomia e prevedere così aule di diversa grandezza.