Giovani e sessualità

             Lo scrittore Alberto Moravia, al quale una volta fu domandato perché la sua narrativa fosse  intrisa di tanto sesso, si giustificò dicendo che ciò era dovuto al fatto che era ormai tutta la società a sprizzare sesso da ogni parte. Stessa risposta potrebbe essere data a giustificazione dell’opportunità d’introdurre nella scuola l’Educazione sessuale, della quale avvertono un bisogno latente gli stessi ragazzi, oggi più che mai bombardati da messaggi e sollecitazioni sessuali di ogni genere da parte del potente e variegato apparato mediatico che li circonda.

        Ragion per cui qualunque progetto di Educazione sessuale non potrebbe non entrare in  concorrenza col vasto mondo del web e delle televisioni, da cui vengono in continuazione mutuati modelli di comportamento, pregiudizi, luoghi comuni e i più diversi stereotipi di genere. Neil Postman adoperò l’espressione “infanzia scomparsa”, per indicare il fatto che è la televisione il tramite principale attraverso cui alquanto precocemente si compie  l’accostamento del bambino alla realtà sessuale. Mentre Giovanni Sartori è arrivato addirittura ad ascrivere alla televisione la formazione di un nuovo tipo di essere umano.

         Il compito di un’agenzia educativa – qualunque essa sia – non è certo quello di demonizzare l’odierno mondo mediatico, quanto quello di prodigarsi al massimo per potenziare le facoltà critiche dei soggetti in formazione, perché essi siano messi nelle condizioni di sapersi bene destreggiare nel guazzabuglio degli attuali media e di decifrare da se stessi le distorte visioni della complessa e delicata realtà sessuale.

         Sta di fatto che, ormai da tempo,  i ragazzi risultano esposti ad una serie di stereotipi e di modelli di vita sessuale che, essendo maturati in contesti sociali e culturali profondamente diversi da quello proprio,  poco hanno a che vedere con la loro mentalità, la loro educazione e la loro sensibilità. Per cui capita comunemente che, da parte sia delle televisioni che dei social, una qualunque relazione amorosa venga presentata come inevitabilmente protesa verso lo sbocco immediato del rapporto sessuale completo, così che viene ridotta ad un fatto puramente fisico un’esperienza che riveste invece grande importanza nell’immaginario, nella coscienza e nella maturazione dei ragazzi di entrambi i generi; come se si potesse attribuire una valenza universale ad un costume di una determinata realtà, piuttosto che a quello di un’altra.

      Il fatto, inoltre, che tutto nell’amore venga ricondotto al corpo e che quest’ultimo sia riduttivamente inteso come oggetto di piacere e non di relazione; come ricettacolo di stimoli e non come manifestazione significativa di sé, è un’altra deleteria conseguenza dell’influenza dei vari mezzi mediatici e, soprattutto, delle televisioni. In La malaeducaxxxion, programma andato in onda alcuni anni or sono, l’argomento-sesso era fatto oggetto di spettacolarizzazione e delegato ad una rosa fissa di adulti che, nell’affrontarne i suoi aspetti più piccanti, ne discutevano senza freno alcuno e senza il benché minimo intento pedagogico-educativo, o preoccupazione per le possibili ricadute sugli spettatori più giovani.

    Altra non meno importante conseguenza consiste nel fatto che le abitudini e i costumi sociali si siano dappertutto uniformizzati ai modelli e agli standard mediatico-televisivi. A questo processo di omologazione,  in atto ormai da tempo, risulta ispirato, ad esempio, il fatto che i ragazzi di ogni città – piccola o grande che sia; del Nord come del Sud – trascorrano perlopiù il proprio tempo libero fuori casa in compagnia dei coetanei o in dolce compagnia e che anche a coppie formate da soggetti di tenera età sia oggi consentito di stare fuori quasi tutti i giorni e fino a tarda ora. Il ricatto al quale sono costretti di fatto a cedere i genitori dagli stessi figli è dentro la seguente frase: “In questo modo si comportano i genitori dei nostri compagni”. Alla resa degli stessi a detto ricatto contribuisce poi la paura che un eventuale rifiuto, da parte loro, possa ingenerare nel figlio conseguenze ancor più gravi, come quelli dell’anoressia, della bulimia o della tossicodipendenza.

    Le agenzie educative tradizionali si trovano, dunque, di fronte ad una vera e propria sfida, che si potrà vincere, solo se si conquista piena fiducia nell’efficacia dell’educazione basata sul dialogo e se, in ogni famiglia, scuola, o parrocchia, i ragazzi incontreranno educatori capaci d’incidere profondamente sulla loro formazione e di metterli nelle condizioni di far fronte da se stessi ai molteplici condizionamenti cui sono attualmente esposti.

      Le agenzie mass-mediali – si sa – fanno leva sui sensi, risultando per questo più suadenti e più suggestive, ma rendono inesorabilmente passivo il soggetto,  anestetizzandone le facoltà di critica e di discernimento. Le scuole dell’incontro possono e devono, invece, suscitare una gratificazione senz’altro più forte e duratura, in quanto rispondente alla sensibilità e alle esigenze spirituali di chi, come gli adolescenti, sono alla ricerca della personale identità, di valori non effimeri e di una propria autenticità.

      L’Educazione sessuale, di certo, non dovrebbe  rappresentare un semplice diversivo, ovvero un momento occasionale della vita scolastica, ma far parte della più generale “questione educativa”. L’errore più grave che comunemente viene commesso, in conseguenza di un malinteso concetto di educazione sessuale,  è  appunto quello di considerarla come qualcosa di separato dal contesto complessivo delle ordinarie attività curriculari, o come un fatto puramente episodico.  Per un’efficace  Educazione sessuale occorrono, innanzitutto, educatori  fortemente motivati nei confronti del proprio ruolo e dotati di grande sensibilità umana. La competenza da sola non basta, né si può ridurre il discorso sulla sessualità ad una questione di mera oggettività scientifica, come se fosse questo l’aspetto più importante.

     L’Educazione sessuale non può neppure essere intesa come un’opera di semplice prevenzione,  come si è fatto nell’epoca della lotta contro il contagio dell’Aids, o come capita quando si cerca di porre un argine alle precocissime gravidanze nelle realtà in cui detto fenomeno tocca picchi elevati. Oltretutto, sia nel primo che nel secondo caso, s’incorre purtroppo nel tanto increscioso, quanto gravissimo errore, di tracciare l’elogio del profilattico e così d’infondere, nei ragazzi che non ne hanno fatto uso fino a quel momento,  un senso quasi d’imperdonabile inadeguatezza.

      Altrettanto errato è ritenere che, per attribuire maggiore dignità all’Educazione sessuale, occorra trasformarla in una vera e propria disciplina scolastica, come se fosse pedagogicamente opportuno avvalersi dell’apporto di un solo docente e adottare un unico punto di vista disciplinare. D’altra parte, l’abbinamento dell’Educazione sessuale con le Scienze l’ha portata inesorabilmente a dissolversi completamente, come già accaduto con l’Educazione civica, ridotta a cenerentola della Storia. Dell’Educazione sessuale deve farsi carico ogni singolo docente del Consiglio di classe, per consentirle di beneficiare dell’apporto culturale ed educativo di ciascuna disciplina.

    Quanto a quelli che possono ritenersi i suoi fondamentali contenuti educativi, va preliminarmente detto che sono i ragazzi stessi ad avvertire il bisogno latente di comprendere le “trasformazioni dell’età”; di cogliere il vero e autentico significato di ciò che, in rapporto all’affettività e alla sessualità, risulta miseramente banalizzato in trasmissioni come “Uomini e donne”; di approfondire le caratteristiche psicologiche e i comportamenti – errati o meno – abitualmente manifestati dai soggetti di ciascun genere, oltre che i tabù e i cliché più radicati e difficilmente estirpabili dalla mentalità corrente a riguardo della sessualità.

     La verità è che il modo più corretto di parlare di sesso è quello di portare il discorso sull’uomo considerato nella sua totalità e sui suoi valori essenziali. La scuola – il luogo per eccellenza del confronto delle opinioni, delle culture e delle concezioni esistenziali – non può tirarsi indietro di fronte ai legittimi e delicati interrogativi posti dai ragazzi, a cui occorrerà rispondere senza alcuna ambiguità e senza alcuna ipocrisia o retorica, non sottraendosi all’obbligo d’indicare strade e soluzioni, per il timore che le stesse possano risultare loro poco accette. Va da sé che la  consapevolezza della presenza nella cultura occidentale di una varietà di usi e costumi sessuali, da un lato, e  l’esigenza  del rispetto delle convinzioni giovanili in materia di sessualità, dall’altro, non  possono funzionare pretestuosamente come incentivi a fare sì che l’educatore venga meno alla propria funzione di guida e di proposta in un campo esistenziale e morale così importante, come quello della sessualità.

    Bisogna insegnare ai ragazzi che le relazioni amorose vanno improntate soprattutto al rispetto dell’altro/a, alla sincerità e all’onestà; e che non è giusto approfittare dell’altrui ingenuità o inesperienza e trattarlo/a come un oggetto di cui servirsi per il soddisfacimento del proprio piacere, per poi metterlo/a ingiustamente e disumanamente da parte. E va, altresì, con coraggio e schiettezza affermato che la verginità non va considerata – da parte dei ragazzi dell’uno e dell’altro sesso – come un tabù al contrario o, peggio, come un fardello di cui disfarsi al più presto, come  viene fatto credere dai loro coetanei.

   Occorre, in conclusione, coniugare, quanto più possibile, l’odierna sessualità giovanile con l’elevato grado di civismo della persona e con la complessiva crescita culturale, religiosa e morale dei tempi attuali.

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