La politica come arte dell’impossibile

La mansione che la politica sa svolgere meglio è quella di far credere di avere la bacchetta magica per risolvere qualunque problema e di far apparire come certo ciò che è quanto mai incerto. Fare promesse è l’arte praticata non solo dai marinai e dagli innamorati, ma in misura quasi sistematica dai politici. Il Partito alle cui promesse si crede di più è ovviamente quello che, essendo di nuova formazione, non si è avuto modo di sperimentare e di conoscere.

      A livello locale, i Partiti che hanno dato pessime prove di sé e agli occhi degli elettori appaiono ormai del tutto screditati non trovano di meglio per riconquistarne la fiducia, che puntare sulla candidatura di un esponente della società civile; prassi questa, che negli ultimi tempi si è diffusa sempre più. E, mano a mano che si è accresciuto il discredito delle tradizionali forze politiche, a detta prassi è finito per associarsi un altro fenomeno, quello della continua formazione dei Movimenti civici che, sostituendosi, in tutto e per tutto, ai Partiti presenti in Parlamento, da un lato rappresentano di fatto il fallimento più completo della politica così come essa è stata fino ad oggi conosciuta e, dall’altro, il superamento dei vecchi schemi di Sinistra, Centro e Destra.

      Intanto, quella dei politici nazionali si è ormai trasformata in una politica dell’immagine, la quale oggi viene costruita in parte nei talk-show televisivi, per cui qualcuno di essi è passato direttamente dalla televisione alla politica. Esemplare, da questo punto di vista,  il caso della Polverini, che, da semplice rappresentante di una piccola sigla sindacale, fu chiamata prima a ricoprire la carica di Governatrice della regione Lazio per conto di Forza Italia, entrando a far parte successivamente del Parlamento nazionale in qualità di rappresentante dello stesso partito. Ad essere passati recentemente da uno studio televisivo al Parlamento europeo sono stati Francesca Donato e Antonio Maria Rinaldi che, per aver esposto ripetutamente in televisione idee sovraniste ed euroscettiche, sono riusciti ad accalappiarsi le simpatie e l’ammirazione di Salvini.

   Si sa, la qualità che si apprezza particolarmente in un politico è quella della facilità e della semplicità di linguaggio, oltre che il fascino dell’aspetto fisico, che costituiscono nel contempo uno dei mezzi più efficaci sia di propaganda politica che di affermazione personale. Ma la verità è che negli ultimi tempi la politica si è, in larga parte, trasferita dalle televisioni sui social e, dal momento che essa è divenuta ormai un fatto d’immagine, cosa si presta a favorire il successo del politico meglio dei social, visto che gli stessi trattano la politica per mezzo di tecniche di marketing aziendale, come se si trattasse di un qualunque genere di merce?

      Le televisioni generaliste sono in grado di raggiungere un tipo di pubblico tradizionalista, di età piuttosto avanzata e mediamente acculturato, mentre i giovani e il pubblico formato da quarantenni e passa seguono perlopiù social come Instagram, fatto esclusivamente d’immagini, Facebook e Twitter, sui quali risultano presenti quasi tutti i politici più noti, che li inondano continuamente di post e di foto proprie. Oggi, dunque, sono profondamente mutati i modi stessi di fare politica e i suoi stili comportamentali. Non si bazzica più solo nelle sedi di partito, nelle aule parlamentari e negli studi televisivi, ma sui social, dove è un po’ come camminare per strada, si dialoga con tanta gente e si conquista popolarità a buon mercato.

    Certo gli aspetti e le differenze più importanti restano pur sempre quelli che emergono dagli orientamenti e dai contenuti politici che vengono espressi, oltre che sui social, attraverso rapide e concise interviste normalmente rilasciate a giornali e telegiornali. Al giorno d’oggi non hanno importanza i lunghi e dettagliati programmi che, noiosi quanto mai, non vengono letti da nessuno, tant’è che i Partiti non si preoccupano più, come una volta, di redigerli e diffonderli. Nell’era social risultano efficaci le brevi frasi ad effetto e le semplici parole d’ordine, da cui l’elettore più avveduto e informato riesce comunque a cogliere la specifica essenza di ciascun Partito, ovvero ciò che in effetti distingue l’uno dall’altro.

      Uno spartiacque tra uno schieramento politico e l’altro è costituito, senza dubbio, dalla parola TASSE, che i partiti di Centrodestra non vogliono neppure sentire nominare. Perlopiù parlano di tasse,  per ribadire instancabilmente che si devono eliminare o abbassare, senza tuttavia specificare se solo quelle dei meno abbienti. Quantunque tuttavia preferiscano restare nel vago, si capisce che il loro vero obiettivo è non far aumentare le tasse di coloro che ne dovrebbero certamente pagare molte di più.

   Ben nota risulta, poi, la contrarietà degli stessi partiti a qualunque forma di patrimoniale. Giorni orsono, al solo ventilare la possibilità di una riforma degli estimi catastali, qualcuno di questi Partiti ha minacciato di abbandonare il Governo-Draghi e passare all’opposizione. Quale più convincente prova di questa, per dimostrare lo zelo con cui si persegue la difesa degli interessi dei propri elettori! Pongono, inoltre, di sovente l’accento sulla sacralità della casa, dando quasi ad intendere di riferirsi a coloro che a malapena sono riusciti dopo una vita a comprarsi quella in cui abitano. Insomma, elettoralmente parlando, è molto meglio non operare alcun distinguo, quando si affrontano argomenti come questo.

     Anche la terminologia che è adoperata dai partiti di Centrodestra la dice lunga sul loro orientamento programmatico e sui ceti sociali che stanno ad essi più a cuore. È sufficiente elencare alcune delle espressioni più ricorrenti nelle loro dichiarazioni pubbliche, come, ad esempio, oppressione fiscale; oppressione burocratica; oppressione giudiziaria. Quando c’è, poi, di mezzo l’erogazione o meno di denaro pubblico, gli stessi sono sempre pronti a mettersi dalla parte di ogni tipo di richiedente, qualunque ne sia la ragione di necessità; tanto a pagare è lo Stato con i soldi di noi tutti.

     Lo stesso dicasi per quanto riguarda l’individuazione delle risorse finanziarie necessarie a far fronte agli eventuali ammanchi delle entrate, dovute all’abbassamento o alla lunga sospensione di pagamento dei tributi; salvo poi essere impediti dall’attuare simili generose elargizioni di denaro pubblico, quando, alle prese con l’effettivo governo del Paese, si trovano di fronte all’insufficienza delle risorse finanziarie o al categorico niet degli addetti alla Ragioneria di Stato.

      Quanto ai Partiti dello schieramento opposto, c’è da dire che fanno semplicemente pietà, intimoriti come appaiono dalla propaganda demagogica e populistica della Destra, nei confronti della quale si mostrano quasi compiacenti per paura dell’impopolarità; né insistono più di tanto sull’opportunità di una patrimoniale, per non destare preoccupazione nei settori moderati del proprio elettorato. La verità è che, dopo la fusione a freddo con la Margherita, nel PD c’è stato un forte ricambio del personale e sono stati in esso imbarcati soggetti senza alcuna gavetta e del tutto privi di affidabilità, ma dotati del solo prestigio sociale derivante dalla propria notorietà professionale, come magistrati, accademici, personaggi dello spettacolo, tanti dei quali – come, ad esempio, un De Luca o un Emiliano –  risultano non propriamente in possesso di una sensibilità che si possa definire di sinistra.

      Un evidente emblema di negatività e di degenerazione della politica di Sinistra è rappresentato, per i calabresi, da Mario Oliverio, la cui intensa vita politica, che si è protratta ininterrottamente per circa 40 anni, portandolo a ricoprire i più diversi incarichi istituzionali, si è intrecciata con la storia stessa del PCI. Ma che Sinistra è quella nella quale ha potuto allignare un personaggio siffatto che, dopo la faticaccia del diavolo per toglierlo dai piedi, ha avuto la faccia tosta di ripresentarsi come candidato Governatore nelle Elezioni calabresi in corso, semplicemente per spirito di vendetta o perché si crede ormai un Andreotti redivivo o un Berlusconi!!

      Va da sé che il maggior partito della Sinistra sembra aver ormai abdicato alla sua funzione storica di punto di riferimento dei ceti meno abbienti e dei soggetti socialmente emarginati e aver subìto una tale metamorfosi, da essere divenuto irriconoscibile agli occhi di coloro che hanno avuto modo di vivere altre stagioni del suo lungo e glorioso percorso. Temi, come diritti civili, lavoro, disuguaglianze sociali, difesa dell’ambiente, sono indubbiamente quelli in maggiore sintonia con la tradizionale sensibilità politico-sociale dei partiti di Sinistra, ma di essi si preferisce solo riempirsi la bocca o più semplicemente costituiscono quel che rimane di un’identità oggi purtroppo alquanto annacquata.

     Del M5S, della storica indefinitezza della sua identità, delle sue perenni contraddizioni e divisioni interne, costituisce un’eloquente dimostrazione il fatto che lo stesso negli ultimi tre anni ha perduto qualcosa come sei milioni di voti e che ha dovuto affidarsi ad un timoniere esterno come Conte, per cercare di trovare la rotta in grado di far recuperare un po’ del consenso ormai forse definitivamente disperso.

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