Processo all’adulterio

            Dell’adulterio – tema di quasi assoluta pertinenza giuridica – si parla comunemente non certo in termini accademici, ma al solo scopo di fare un po’ di pettegolezzo. Oltretutto, si tratta di un argomento vecchio quanto il cucco, poiché riguarda un dato di fatto che dalla coscienza collettiva è percepito come ineliminabile dal consorzio umano.

           Statisticamente l’adulterio, chiamato anche infedeltà coniugale, costituisce forse il fattore più dirompente dell’unione matrimoniale, specie quando lo stesso da semplice “scappatella una tantum” si trasforma in un’intesa dalle radici profonde, che va ben aldilà del fatto meramente sessuale e investe nel suo insieme la dimensione psicologico-affettiva. A farne variare profondamente la fisionomia sono, di fatto, la sua intensità affettiva, il suo valore esistenziale e la sua durata.

         I matrimoni che, nella generalità dei casi, non si rompono a causa dell’adulterio sono quelli che hanno figli al loro interno e nei quali il coniuge tradito risulta così forte e saggio che, pur di non far perdere ai figli il genitore e a sé il pur fedifrago coniuge e di non incorrere nel rischio di consegnarlo a vita nelle braccia dell’altra/o, riesce a perdonare e a manifestare addirittura una, tanto inattesa quanto sconvolgente, dolcezza nei suoi confronti.

        Riguardo alla complessa questione dell’origine dell’adulterio, si può con certezza ritenere che, oltre la fortuita occasionalità, ne sono soprattutto responsabili la natura caratteriale della persona e la predisposizione del soggetto, ovvero l’interesse spiccato che lo stesso è solito nutrire per la ricerca della cosiddetta avventura extra-coniugale.

        Se, tuttavia, a favorire l’adulterio è l’ampio sostrato formato dalle continue incomprensioni, dalla mancanza quasi assoluta di dialogo e dalla scomparsa di ogni forma di effusione sentimentale, i fattori inibitori dello stesso si possono, al contrario, considerare la fede religiosa, autentica e intensa, la buona educazione ricevuta nella famiglia d’origine e il forte senso morale della persona, da cui è normalmente neutralizzata la tentatrice occasione “che fa l’uomo ladro”.

       È risaputo, il contesto sociale per eccellenza nel quale germinano le tresche extra-coniugali è costituito dal luogo di lavoro, dove, trascorrendosi giornate gomito a gomito tra colleghi, capita a volte che scocchi la scintilla della simpatia e dell’attrazione. Generalmente, sono la notevole differenza di età e il fattore-novità a far chiudere un occhio all’uomo riguardo all’inadeguato potere attrattivo della partner con cui egli si avventura in un’esperienza di adulterio. Va da sé che l’imprevisto ritorno delle attenzioni e delle gentilezze proprie del giovanile periodo del corteggiamento, in un’età in cui si riteneva di non poterle più gustare, è cosa che può far perdere la testa anche alla persona più seria di questo mondo.

      A fronte della quasi assoluta impossibilità dell’adulterio nei piccoli Comuni, a causa del ferreo controllo sociale che viene comunemente negli stessi esercitato pur nei confronti della più piccola trasgressione, lo stesso nei grossi centri si traduce, il più delle volte, in una sorta di vera e propria bigamia, potendo in essi una relazione extra-coniugale protrarsi per anni e anni indisturbatamente, ovvero in mezzo al disinteresse generale. L’adulterio tipico della grande metropoli è quello che viene a consumarsi tra un uomo sposato e una donna single, ovvero non coniugata, o separata, o vedova.

       Incorrono in un grossolano errore quanti, confondendo le relazioni di adulterio con quelle, oggi tanto diffuse, di convivenza, definiscono queste ultime un “adulterio legalizzato” per il semplice motivo dei ripetuti cambiamenti di partner, mentre invece a caratterizzare la forma classica dell’adulterio è il fatto che, a fronte di un lecito e regolare rapporto coniugale, è in atto un secondo rapporto, contraddistinto dalla clandestinità.

      Nell’epoca contemporanea le relazioni extra-coniugali hanno certamente trovato un efficacissimo ausilio nello smartphone, la cui conversazione ha generalmente inizio con l’ormai classica domanda “dove sei?” e che, oltre a consentire una comunicazione diretta e personale, risulta quanto più adatto a garantire la segretezza che non può certo mancare in una relazione rischiosa come quella dell’adulterio.

       Sotto il fascismo, come è noto, l’adulterio era, secondo la rigida morale del tempo, considerato reato; mentre nell’epoca attuale è divenuto una comune e quasi lecita marachella, il cui autore, nella generalità dei casi, si augura che la stessa non mandi allo sfascio la propria famiglia, mantenendosi comunque pronto a discolparsi sia col coniuge tradito che con Dio nel confessionale.

     Per toccare con mano da quali profonde differenze di cultura, costume e mentalità sia stato nel tempo attraversato l’adulterio, è sufficiente ricordare il notevole scalpore suscitato all’epoca dall’unione di Togliatti e Nilde Iotti e il caso del noto esponente comunista Emanuele Macaluso, venuto alla ribalta di recente per la pubblicazione di una sua biografia[1] e che suscitò anch’esso non poco scandalo. Quest’ultimo, nel febbraio del 1944, finì in carcere insieme alla donna sposata con cui intratteneva una relazione, Lina Di Maria, divenuta poi sua compagna e madre dei suoi due figli. La rigida morale degli anni Quaranta, non diversa da quella del periodo precedente, pose detto esponente della sinistra italiana in grande difficoltà. Il P.C.I, infatti, lo aveva messo di fronte all’aut-aut di dover rinunciare al suo amore o al Partito. Macaluso, disubbidendo al ricatto, scelse di non abbandonare né l’una, né l’altro, così testimoniando, nel contempo, che era ormai in atto nel campo della mentalità e della morale un profondo cambiamento.

           La verità è che nessun campo, come quello della morale sessuale, ha risentito di più della crisi della religiosità nell’epoca del trionfo del materialismo pratico e dell’edonismo. Tant’è che la chiesa cristiana, per ridurre il sempre più marcato distacco tra la propria visione morale e quella corrente, non ha potuto non smussare gli aspetti più rigidi e severi della sua tradizionale valutazione dell’adulterio. Nel Diritto Canonico, infatti, il coniuge innocente è invitato, innanzitutto, a perdonare quello infedele e a ricostituire la relazione altrimenti destinata a non ricomporsi più. Inoltre, al coniuge tradito è concesso di chiedere la separazione, solo nel caso in cui ricorrano le seguenti condizioni: “a meno che non abbia acconsentito all’adulterio, o non ne abbia dato il motivo, o non abbia egli pure commesso adulterio” (can. 1152).

[1] Concetto Vecchio, L’ultimo compagno. Emanuele Macaluso, il romanzo di una vita, Chiarelettere, Milano 2021

1 Commento

  1. Dal pensiero letto, deduco una realtà: nei posti piccoli, la demonizzazione dell’ adulterio tenta di arginare una falla insita nel cervello e nella coscienza di uomini e donne, ma che di fatto si crea almeno una volta nella vita, in ognuno di noi

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