Politica e politici dei giorni nostri

       Tra politici degli Enti Locali e quelli di livello nazionale se ne contano ormai varie migliaia, ma, da un’epoca all’altra, continua a risultare irrilevante il numero sia dei giovani che delle donne, perché ad essere maggiormente sedotti dalla politica e a trovare in essa più ampio spazio sono, da sempre, le persone di una certa età, mentre la categoria sociale meglio rappresentata rimane quella dei professionisti che sono più numerosi degli operai. Altre categorie più presenti sono costituite dal ceto impiegatizio, dagli insegnanti e dagli avvocati; questi ultimi, non solo per la maggiore disponibilità di tempo di cui generalmente godono, quanto per il fatto che risultano notoriamente frustrati e insoddisfatti del proprio lavoro.

     L’ormai classica tripartizione del sociologo tedesco Max Weber, che ai primi del ‘900 individuò tre categorie di politici – occasionali, dilettanti e di professione -, non trova, dunque, più alcun riscontro nella realtà odierna, nella quale prevalgono coloro che hanno fatto della politica l’unica attività e la loro principale fonte di reddito. Tuttavia, in politica, come nel mondo del calcio, alcuni guadagnano tantissimo, oltre a godere di vari privilegi; altri invece, come i semplici consiglieri comunali, ai quali è stata ormai da tempo sottratta per legge l’indennità, riescono a malapena a racimolare qualche centinaio di euro attraverso le presenze nei lavori delle Commissioni.

     Quel che è certo è che nel personale dei vari Partiti non si notano più grosse differenze tra l’uno e l’altro, per quanto attiene alle motivazioni, alla cultura, alla formazione e alle idealità che hanno dettato l’importante scelta dell’impegno politico. L’omologazione, che nella nostra epoca è ormai imperante in ogni settore e categoria sociale, ha pervaso anche il mondo della politica, tant’è che risulta, quasi completamente, venuta meno la tanto decantata “diversità” della Sinistra, la quale, in un tempo ormai lontano, si esprimeva essenzialmente attraverso la mancanza di corrotti tra le proprie file e la forte impronta etico-idealistica che sorreggeva la militanza politica.

  Negli anni Cinquanta il ruolo del politico risultava nettamente separato da quello del militante o del semplice simpatizzante, perché la politica era ritenuta una vera e propria arte che, in quanto tale, non veniva considerata alla portata dei più. Oggi, al contrario, all’attività politica si accede senz’arte né parte, ovvero senza aver fatto alcuna gavetta, perché una prassi ormai consolidata dei Partiti odierni è quella di chiamare a ricoprire incarichi dirigenziali figure di spicco della società civile, come il magistrato, l’imprenditore, o l’intellettuale conosciuto o più apprezzato, a prescindere dalla loro totale inesperienza politica.

    In Italia, come è noto, a differenza dei Paesi in cui si fronteggiano due sole forze politiche, la rappresentanza risulta da sempre frantumata in più partiti, i quali, al fine di svolgere sia la funzione governativa che quella di opposizione, danno vita ad apposite coalizioni. Ciò comporta l’inevitabile conseguenza che ciascun Partito, attribuendo a sé ogni merito della propria coalizione, trasforma il “fare politica” in una continua propaganda elettorale. Per lo stesso motivo, alla normale dialettica politica tra partiti di governo e partiti di opposizione si aggiunge anche quella tra le forze che, pur facendo parte della medesima coalizione, ormai da tempo,  rivaleggiano l’una con l’altra, pur di conquistare o continuare a mantenere al suo interno la leadership.

   Va da sé che i politici e la politica si sono molto più incattiviti negli ultimi tempi, in cui le trash-risse e gli attacchi personali sono ormai all’ordine del giorno; elementi questi che – guarda caso – vanno di pari passo con la continua ricerca della visibilità e del consenso, che da sempre in politica contano più di ogni altra cosa. Col venir meno dell’aplomb e del rispetto altrui e con l’identificazione dell’avversario politico con un nemico qualsiasi, la dialettica e la competizione politica non trovano altri sbocchi, che quelli del dileggio, dell’offesa o, addirittura, dello scontro fisico, di cui talvolta vengono date plateali prove persino nelle sedi istituzionali del dialogo e del confronto, quali dovrebbero essere le aule parlamentari.

   Ma la vera stranezza è costituita dal fatto che il politico ha nemici più dentro al suo Partito che fuori. Ci si guarda come cani e gatti persino all’interno del più importante partito della Sinistra, nel quale un tempo l’uno chiamava l’altro “compagno”, in quanto nello stesso sono ormai venuti meno la tradizionale compattezza e l’antico orgoglio di appartenenza.

   La politica, inoltre, si è ormai spettacolarizzata e il luogo nel quale ciò avviene quasi quotidianamente non è tanto il Parlamento, quanto la televisione, la quale dai violenti e triviali scontri degli esponenti di questo o di quel Partito nei talk-show ne guadagna un rilevante innalzamento dello share. Non minore è il vantaggio che, in termini di consenso personale, ne ricava il politico più abile nell’uso della dialettica, della polemicità e dell’arte istrionica, specie in un tempo in cui il voto viene generalmente dato più per detti aspetti che per la competenza, le buone idee e la coerenza.

   Sotto lo stesso profilo, il ruolo che è svolto a livello nazionale dalla televisione risulta tale, da essere ormai giustamente considerata la più potente fabbrica del consenso politico.  Alla televisione, o meglio alle televisioni sia pubbliche che private, occorre già da tempo abbinare i social, il cui ruolo nella costruzione del consenso è venuto  via via crescendo sempre più.

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