Il politico dei giorni nostri

Quella dei politici si può considerare una categoria a sé, nel senso che l’esperienza politica, a prescindere dalla sua durata, agisce profondamente nel modo di essere della persona, a tal punto che questa, pur dopo la cessazione dell’impegno attivo, si sente dentro un politico a vita; un po’ come pare accada ai preti spretati, i quali, pur dopo che sono convogliati a nozze, non smettono mai di sentirsi sacerdoti. In entrambi i casi, si tratta di un’esperienza che, come si suol dire, segna la persona nel profondo. Prova ne è il fatto che pochissimi l’abbandonano spontaneamente, così che, ai giorni nostri, dei Cincinnato si è completamente estinta la razza. Quando non si ricopre più alcuna carica, si fa comunque parte di qualche Assemblea e non s’interrompe che raramente il “su e giù” verso la sede del Partito. Come accade con tanti politici nazionali, che non se ne vanno neppure se hanno superato l’ottantina e che solo il Signore potrà toglierli di mezzo.

       Un altro importante aspetto della fisionomia del politico è costituito dalla presunzione di superiorità, nel senso che l’aver fatto politica attiva e/o il continuare a farla – non importa quanto supportata o meno da risultati, da competenze specifiche e da chissà quali capacità – finisce con l’accrescere inevitabilmente nel soggetto il senso dell’io. Il politico si percepisce come un essere superiore, in quanto ritiene illusoriamente che dall’angolo visuale della politica abbia potuto assumere gli elementi fondanti di ogni aspetto essenziale della vita, andando così ben al di là dei tradizionali ambiti culturali di pertinenza, quale quello sociale ed economico.

     Succede così che anche un tizio sprovvisto di alcun titolo di studio, bazzicando nei corridoi della politica, si ritenga in qualche misura un “uomo arrivato”, uno che, pur non possedendo alcuna laurea, non si sente da meno rispetto a coloro che laureati lo sono per davvero, perché con questi discute e si confronta quasi ogni giorno. Se poi ha ricoperto un incarico di qualche prestigio, come Presidente di Provincia, Sindaco, Consigliere regionale, o Parlamentare, il senso dell’io giunge all’apice. Qualcuno a cui, dopo aver ricoperto uno di questi incarichi prestigiosi, è toccato tornare tra i banchi di scuola, si è trovato di fatto in una situazione di duplice disagio, perché non solo gli è sembrato di essere andato incontro a chissà quale declassamento, ma anche per il fatto che di quel poco che sapeva delle sue discipline d’insegnamento non ricordava quasi più nulla, dopo il lungo periodo d’interruzione del lavoro d’insegnante.

     Qualità piuttosto rare nella categoria risultano, dunque, quelle della modestia e dell’umiltà. Al contrario, i più si ritengono insostituibili ed indispensabili; atteggiamento questo che è ormai trasversale agli esponenti di tutte le forze politiche; il che la dice lunga riguardo ai cambiamenti profondi intervenuti negli ultimi decenni nella vita dei Partiti. Stante così la situazione, c’è poco da meravigliarsi del fatto che i giovani appaiano del tutto restii ad accostarsi alla politica, così come restii lo sono pure tanti bravi professionisti che, qualora decidessero di entrare a far parte di un qualsivoglia Partito, intanto verrebbero guardati come dei mentecatti, per poi finire confinati in uno di quegli inutili organismi partitici, perché di fatto non conterebbero nulla.

       Gli unici rappresentanti della società civile ai quali i Partiti non solo aprono volentieri le porte, ma che addirittura invitano a sporcarsi la faccia con la politica sono coloro che risultano insigniti di qualche pennacchio: noto imprenditore, magistrato, primario ospedaliero, dirigente scolastico, ecc. Ciò accade, per lo più, o quando non si riesce a mettersi d’accordo su una candidatura, perché “ci sono troppi cani all’osso”; o quando c’è da trovare chi sia disposto a prendersi una batosta elettorale, candidandosi a Sindaco dopo il palese fallimento amministrativo del sindaco uscente. Detta apertura dei Partiti alla società civile – tanto occasionale, quanto finta e strumentale – si basa sul fragile presupposto che buon amministratore possa sicuramente essere il dirigente di un qualsivoglia settore, come se dirigere un reparto d’ospedale o un Istituto scolastico sia la stessa cosa che amministrare un complesso Ente periferico, come un Comune o una Regione. Oltretutto, si dà il caso che la scelta cade di sovente su persona che, non solo non ha svolto mai alcuna esperienza in campo amministrativo, ma non ha neppure mai mostrato alcun interesse per la politica. Non serve fare dei nomi, perché il panorama sia locale che nazionale ne è strapieno di esempi simili. Non si desidera, tuttavia, essere fraintesi, come se si voglia intendere, calcando le orme del grande pensatore F. Guicciardini, che il buon politico coincida necessariamente con colui che l’ha sempre fatta. Dove del resto sta scritto che chi è, da lungo tempo, dentro la politica, offra sicure garanzie di buon governo?

     Il politico che non ha più da tempo una propria collocazione all’interno di alcun Partito, pur di assicurarsi una qualche visibilità, s’inventa invece una Fondazione o un’Associazione culturale, perché uscire completamente di scena è dallo stesso considerato quasi come un morire. Quando si usa la nota espressione: “la politica è una brutta bestia”, si allude proprio al fatto che della stessa non si può più fare a meno, in quanto ci deve pur essere per questi signori così fortemente gratificati dalla politica l’occasione per dire la propria e così continuare a pontificare.

    Quel che è certo è che in nessun altro tipo di attività la gratificazione è così alta quanto in quello della politica, sebbene la stessa dia tanto da fare a coloro che ricoprono importanti incarichi. E non è un caso che il personale politico provenga per lo più dalla scuola, settore notoriamente privo di carriera, nel quale pochi risultano coloro che, essendo fortemente motivati, traggono profonda e completa gratificazione dal loro lavoro. Oltretutto, con i tempi che corrono, nella politica sguazzano sempre più nullafacenti, gente cioè priva di mestiere, che non ha mai nella vita propria svolto alcun lavoro. E poi – si sa – la politica ai più fortunati che riescono a ricoprire la carica di Parlamentare o di Consigliere regionale assicura, oltre che un lauto emolumento per diversi anni, un altrettanto lauto vitalizio a vita.

     A quel che dice il politico, ovvero alle sue promesse, non c’è da crederci granché, specie per quel che riguarda il discorso delle alleanze: quasi sempre risulta smentito dai fatti. Ma il contesto della politica non è dominato solo da menzogne e falsità, ma anche dall’ipocrisia, dall’invidia e dalla feroce competizione: sembrano all’apparenza amici l’uno dell’altro, ma dietro le spalle si dicono peste e corna. L’avversario più forte non appartiene tanto agli altri Partiti, quanto a quello proprio. E molto raramente tra i politici nascono grandi e durature amicizie. Chi si era illuso del contrario, fa presto a scoprire l’amara verità. Basta ascoltare la testimonianza di qualche politico navigato, per comprendere da quale clima, e non certo da ieri, è contrassegnato l’ambiente politico.

   Quanto alle donne in politica, va detto che esse non hanno fino ad oggi potuto cambiare granché le cose, prima di tutto, perché, specie a livello periferico, sono poche e, poi, perché queste poche, per farsi strada, si sono inevitabilmente uniformate al politico-uomo. Ma il paradosso delle donne in politica è costituito dal fatto che da emarginate, quali sono state per così lungo tempo, sono diventate delle privilegiate, nel senso che la loro esiguità numerica di fatto le ha sempre agevolate e continua non poco ad agevolarle, impedendo l’applicazione di un’effettiva selezione tra di esse che non sia riposta quasi unicamente sull’appartenenza al cosiddetto genere-rosa.

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