Politica, corruzione e illegalità

Affermare che la politica è tutta corrotta, che siano ormai irrimediabilmente compromessi con la corruzione i suoi stessi meccanismi, sa di esagerato. Coloro che in passato l’hanno pensata in questo modo, come gli esponenti della Lega Nord, additando il dito accusatore contro i governanti dell’epoca, sono stati pescati anch’essi purtroppo, anni dopo, con le mani nella “marmellata” della corruzione. La verità è che l’onestà risulta più facile a professarsi a parole quando si è all’opposizione, che a praticarla nei fatti. Alzare la voce contro questo o quel politico è cosa abbastanza semplice; obiettivamente più difficile è per i puritani di turno mantenere l’integrità e la solidità della propria purezza, una volta entrati nella “sala dei bottoni”.

       Va da sè che a stabilire legami con la corruzione è la politica dell’affarismo e del potere per il potere. È quanto mai difficile credere che possano compiere azioni ispirate alla corruzione e all’illegalità coloro che intendono la politica come servizio a beneficio della propria comunità, ovvero come perseguimento del bene comune.

       Comunque, la mentalità su cui da sempre si basa la giustificazione del comportamento corruttivo, specie nelle realtà prive di civismo e di un’adeguata percezione del senso del bene pubblico, si sostanzia di ragionamenti come i seguenti: “perchè rinunciare ad un’opportunità di guadagno illecito che, se non goduta da te, comunque se la godono gli altri?”; ed, ancora, “sono soldi di nessuno. Rubare allo Stato è come prendersi ciò che esso ingiustamente si è preso da te”, e via di questo passo.

       Resta il fatto che di corruzione si parli molto solo in occasione di maxi-scandali, come quello recente di Mafia Capitale, su cui sia i giornali televisivi, sia quelli di carta stampata si sono intrattenuti per giorni e giorni, alimentandosi delle polemiche e delle strumentalizzazioni politiche, immancabili negli scandali di vaste proporzioni. A colpire più di tutto in queste ultime e sproporzionate forme di corruzione non è tanto il carattere sistemico, già notato nell’ormai lontanissima Tangentopoli, quanto l’estremo grado della loro pervasività, che non risparmia più alcuna forza politica, se non quella di recentissima formazione come il movimento Cinque Stelle. Neppure un partito come il PD, che tradizionalmente si era sempre fatto vanto della sua immacolata diversità, è uscito indenne dall’ultimo grande scandalo, a riprova del fatto che è in atto ormai da tempo una mutazione genetica dei partiti sia della prima che della seconda repubblica.

       Il processo di omologazione che risulta imperante in ambito politico è tale, da far ritenere che, per modificare radicalmente  la triste e perversa situazione italiana, ci sia assolutamente bisogno di adottare drastiche regole di comportamento da parte di ciascun partito, così da scongiurare in modo definitivo il ripetersi di episodi di corruzione in ambito socio-politico. Alcune di queste regole, semplici quanto efficaci,  – ne va senza alcuna difficoltà riconosciuto il merito – sono state già da tempo individuate dal M5S, come quelle del limite posto al numero delle ricandidature, dell’incandidabilità di coloro che hanno qualunque tipo di problema con la giustizia, e della drastica eliminazione dei privilegi di cui a vario livello godono gli eletti di qualunque organismo istituzionale.

      In uno studio di eccellente valore di Franco Cazzola, pubblicato all’indomani dell’esplosione di Tangentopoli, si sostiene che una delle cause principali della corruzione politica è costituita proprio dall’inamovibilità, da un lato, del personale politico e, dall’altro, dal mancato ricambio a vari livelli della classe dirigente. È, viceversa, l’alternarsi continuo delle diverse forze politiche alla guida della cosa pubblica uno dei maggiori deterrenti della corruzione politica. Tangentopoli, in fondo, costituisce la riprova più tangibile della verità di detto assunto, nel senso che quel primo grande scandalo della storia italiana è stato la conseguenza di un blocco della situazione politica del Paese che si è protratta per più di 40 anni, in nome di un tanto ipotetico, quanto infondato pericolo comunista.

    Ma c’è un altro genere di corruzione, forse più temibile del primo e di cui si parla poco, perché sotterraneo e nascosto e che, permeato com’è nelle più intime fibre della nostra cultura, ha assunto ormai i contorni della normalità. Non raggiunge mai le gigantesche proporzioni delle altre forme di corruzione, ma in compenso risulta, in determinate realtà, quasi capillare ed ampiamente diffusa. Ci riferiamo a quella serie di comportamenti che fanno parte del cosiddetto malcostume sociale dell’illegalità. Si prenda il caso delle false braccianti agricole che, per godere immeritatamente dell’assegno di maternità, versano, seppure per un indispensabile periodo di tempo, i relativi contributi sociali, così da risultare indebitamente beneficiarie dello stesso. Oppure si pensi al caso dei falsi invalidi che, con la compiacenza di corrotti funzionari del sistema sanitario, giungono illecitamente a percepire cospicue pensioni fino al momento di una tanto improbabile, quanto eccezionale scoperta dell’illegalità da essi perpetrata a danno dell’intera collettività.

     In certuni casi l’illegalità giunge persino ad ammantarsi di buonismo e generosità gratuita, come sovente avviene, per esempio, negli Esami di Maturità, in cui il docente si presta alla mortificante prassi di comunicare anticipatamente ai propri candidati non solo gli argomenti, ma addirittura le specifiche domande poste ad oggetto della cosiddetta terza prova, così agevolando fra gli stessi i soggetti che nel corso dell’ultimo anno scolastico e, forse, di un intero quinquennio si sono palesati come i più pelandroni ed irresponsabili. C’è chi addirittura si fregia del triste merito di concordare con i candidati della propria classe le domande della prova orale con la compiacente omertà degli altri membri della Commissione e dello stesso Presidente. Il consolidamento di tali prassi nelle nostre scuole la dice lunga sui guasti, ormai quasi irreparabili, venuti a determinarsi nella mentalità, nelle cultura e nel nostro costume sociale. Sappiano comunque i docenti disponibili all’adozione di questi detestabilissimi comportamenti che gli studenti che ne hanno opportunisticamente beneficiato, un giorno, col senno del poi, non riserveranno che una pessima considerazione e un profondo disprezzo ai propri benefattori.

     Che cosa occorra fare per estirpare alla radice la corruzione e l’illegalità dalla nostra vita sociale non è facile a dirsi. Più di un suggerimento, tuttavia, crediamo sia  implicito nel discorso fatto fin qui. Ma il più forte deterrente potrà senz’altro essere costituito da una più efficace e meno tentennante educazione delle future generazioni. C’è, inoltre, un urgente bisogno di preparare per le nostre realtà, in tutti i sensi tanto martoriate, una nuova classe dirigente, capace d’invertire le deleterie tendenze che a vari livelli si sono fino ad oggi manifestate. Oltre che di un sistema formativo più efficiente e adeguatamente motivato, c’è bisogno ovviamente di una politica profondamente rinnovata in ogni suo aspetto. Quel che abbiamo conosciuto recentemente alla regione Calabria, dopo la parentesi-Scopelliti tristemente conclusasi, va in una direzione tutt’altro che rassicurante: ripescare un’amministratrice come l’Antonella Rizzo, che nella Giunta Vallone non aveva certo dato di sé grandi prove, per affidarle la delicata e impegnativa delega di Assessore all’Ambiente ci dice che la politica vecchia purtroppo è lenta a morire e che in essa funzionano ancora gli antichi equilibrismi di corrente e di potere.

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