La politica dei personalismi e dei talk show

Dopo aver affrontato sulle pagine di questo Periodico la questione del ricambio del personale politico e del modo in cui viene amministrata la cosa pubblica a livello locale, volgeremo l’attenzione sul problema della rappresentanza e sulle dinamiche relative al funzionamento dell’attuale modello di partito. Abbiamo titolo per farlo non tanto per l’esperienza diretta (quasi nessuna), quanto per la passione civile con cui, in quasi mezzo secolo, ci siamo accostati ai cambiamenti e alle novità della realtà sociale e politica, non solo, s’intende, di quella più lontana.

               Nei partiti sia dell’uno che dell’altro schieramento appare sempre più disatteso uno dei principi basilari su cui dovrebbe fondarsi la rappresentanza politica, quello dell’affidabilità riguardo alla realizzazione o meno del programma di governo e all’impegno di difendere le cause per cui è stato richiesto il consenso da parte degli elettori. La genericità, ovvero la vaghezza estrema, con cui ordinariamente sono compilati i programmi elettorali, da un lato, e l’incapacità di tenere fede agli impegni presi con gli elettori, dall’altro, sono all’origine del venir meno dell’effettiva rappresentanza degli interessi concreti dei cittadini.

              Un aspetto col quale oggi si fanno i conti sempre più frequentemente è costituito dal trasformismo, per il quale gli eletti di uno schieramento passano dalla parte dello schieramento opposto, a dispetto del patto di fedeltà sottoscritto, seppure indirettamente, col proprio elettorato. Il cinico trasformismo dei giorni nostri, che non conosce alcuna forma di pudore, trova alimento in più fattori, primo fra tutti l’omologazione, ovvero la sempre più marcata omogeneizzazione esistente a vari livelli tra i partiti, da un lato, e la mancanza, dall’altro, di una vera e propria formazione negli odierni politici, il più delle volte del tutto privi di alcun sapere di carattere storico, sociologico ed economico e, tutt’al più, bravi ad incantare il pubblico con le belle parole.

              Il politico attuale – venuta meno l’azione di guida, di controllo e di regolamentazione svolta dai partiti di una volta –  appare assillato di continuo dal bisogno di rendere quanto più “visibile” la propria persona. Il “caso Salvini”, eccezionale prodotto mediatico dell’ultimo periodo, rappresenta in proposito qualcosa di veramente esemplare. C’è solo da sperare che chi di troppa televisione vive, di troppa televisione muoia. La visibilità è oggi  assicurata in modo prevalente dalla televisione, per cui l’importante non è tanto che la politica sia fatta, quanto che sia annunciata. Le televisioni locali, in special modo quelle più compiacenti e disposte a fare da cassa di risonanza di questo o quell’amministratore, sembrano fatte apposta per soddisfare la smania di visibilità da cui è affetto il politico. La nostra realtà avrebbe tanto bisogno invece di un giornalismo, non di carattere celebrativo e/o opportunisticamente pluralistico, ma critico ed incalzante, capace di produrre inchieste puntuali e coraggiose e di spronare chiunque a fare il proprio dovere fino in fondo. Tra i giornalisti caserecci non sono molte le firme animate da spirito libero e autenticamente indipendente, oltre che capaci di decifrare la profondità degli eventi e di cogliere gli scenari futuri.

              Da questo bisogno quasi frenetico ed ossessivo di visibilità politico-amministrativa derivano le divisioni, le incomprensioni e le lotte che caratterizzano la vita degli odierni partiti. Un tempo al primo posto veniva messo il partito, ovvero il buon esito di ogni sua iniziativa o il suo successo elettorale; oggi vengono prima di tutto l’iniziativa e il successo del singolo politico o del singolo “gruppo” di appartenenza. Per cui il partito non è nient’altro che un semplice contenitore attraverso il quale viene camuffato il carattere individualistico dell’operato politico; e, del resto, oggi a distinguere un partito dall’altro non sono più né i programmi, né gli ideali o i valori che dir si voglia, né tanto meno gli stili politico-amministrativi, ovvero le modalità di rapportarsi con i cittadini e di gestire la cosa pubblica. Quel che oggi più di ogni altra cosa spicca nello scenario politico sono le individualità, che in più di un caso appaiono contrapposte fra loro all’interno di uno stesso partito, in quanto ciò che più conta è l’affermazione della propria persona o del proprio gruppo di riferimento. Il PD crotonese – tanto per rifarci alla realtà che conosciamo meglio di ogni altra – con le sue dinamiche estremamente laceranti e autodistruttive è andato, fin dal costituirsi della fusione con la Margherita, ben oltre quanto si è scorto, dallo stesso punto di vista, a livello nazionale. Ed è accaduto che l’amministrazione Vallone, pur eletta con un’altissima percentuale di consensi al suo primo mandato, abbia ampiamente deluso le aspettative di quanti avevano in essa riposto ogni speranza di cambiamento e di buon governo, dopo il fallimento clamoroso della seconda giunta-Senatore, che si era impantanata nell’inadeguatezza del personale, da una parte, e nelle insanabili lacerazioni interne, dall’altra, da cui fu indotta a scivolare nel più assoluto immobilismo.

             “Evaporandosi” i partiti, nel senso che negli stessi non è in atto già da tempo alcun lavoro collettivo volto all’individuazione delle esigenze del territorio e dei bisogni dei cittadini, né alcun dibattito o confronto di posizioni ideali tra il gruppo dirigente e la base del partito, di fatto è venuto a mancare alla maggioranza il benefico apporto di proposte e di critiche necessarie all’ottimizzazione dell’azione amministrativa, mentre le forze di opposizione, per la medesima ragione, a tutt’oggi non sono state in grado di sviluppare un’azione di più puntuale ed incisivo controllo sulla gestione della cosa pubblica. Sia dall’una che dall’altra parte non sono espressi che interventi estemporanei e rispondenti a logiche di opportunismo individuale; il che si traduce in una serie di disfunzioni proprio nel funzionamento complessivo del sistema democratico e, in ultima analisi, in una grave perdita di efficienza della macchina amministrativa. Per cogliere nella sua pienezza il fallimento del rapporto tra i partiti dell’uno e dell’altro schieramento e il governo cittadino, basterebbe esaminare come a Crotone hanno funzionato fino ad oggi –  e, ahimè, continuano a funzionare – le Commissioni consiliari, venute proprio recentemente alla ribalta nazionale a causa dello scandalo delle assurde quanto vergognose spese dei “gettoni di presenza”.

               Di fronte al tradimento, da parte dell’attuale modello di partito, delle prerogative ad esso attribuite dalla carta costituzionale, viene spontaneo riporre ogni aspettativa o in un movimento di indignati come quello di Grillo, o nelle libere Associazioni o nelle liste civiche,  per sostituire con tali forme di rappresentanza politica i tradizionali partiti, o, per spingere illusoriamente gli stessi a rivedere in profondità il loro modo di essere e di funzionare, in modo non solo da rivitalizzare la democrazia in questa nostra epoca significativamente definita “post-democratica”, ma allo scopo di mandare a casa gli affaristi e i nullafacenti e di traghettare nei partiti  i tanti cittadini che, distinguendosi nel proprio campo di lavoro per serietà, rigore e senso di responsabilità, alla politica continuano purtroppo a guardare con diffidenza e quasi assoluto pessimismo.

            A trarre il più cospicuo vantaggio dalla forte ondata antipolitica, tuttora in atto, è stato, come è noto, il Movimento pentastellato che, essendosi tuttavia fin dall’inizio abbarbicato in modo talebano al rifiuto di ogni tipo di alleanza, ha di fatto refrigerato il largo consenso ottenuto da parte dei milioni di cittadini che ad esso hanno affidato le loro grandi speranze di un cambiamento radicale della politica italiana. Come si ricorderà, al secondo appuntamento elettorale, quello delle elezioni europee, i grillini hanno perduto ben tre milioni di voti, ovvero i voti di quegli elettori che, votandoli la prima volta, avevano erroneamente creduto di poter dare, attraverso il loro ingresso in parlamento, una forte spallata al vecchio sistema politico. Per vedere all’opera i grillini a livello nazionale, bisognerà, purtroppo, aspettare che gli stessi raggiungano il 100 per cento dei voti; prospettiva piuttosto improbabile –  oltre che inaugurabile da un punto di vista prettamente democratico –  in un paese come l’Italia, costituita in maggioranza da elettori moderati e, comunque, fortemente intimoriti da qualunque forma di avventurismo, di pressappochismo dilettantesco e di faciloneria.

           Ma, aldilà della questione grillina, resta il fatto che la grande sfida democratica del prossimo futuro consiste nell’aprire i partiti alla società civile, coinvolgendo nell’impegno politico le belle energie della nostra terra che, quasi per una sorta di maledizione, si continua imperterriti a tenere in surgelazione, così consentendo ai soliti volponi di disporre di tutto lo spazio per seguitare indisturbati ad ordire intrighi e manovre. Tanti onesti e bravi cittadini, spaventati dallo stradominio dei mestieranti della politica – tanto per intenderci, di coloro cioè che nella vita non svolgono nessun’altra attività -, sono costretti ad affondare nella rabbia senza fine e nel senso d’impotenza, mentre dal burattinaio di turno vengono fatte girare nella giostra della politica mezze tacche, pronte a pavoneggiarsi pur nell’immobilismo e nell’incapacità.

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