Che bel problema pubblicare

       La pubblicazione è, da sempre, un problema tutt’altro che semplice, dal momento che  – è cosa ormai risaputa – i principali Editori, solo dopo che i propri Consulenti[1] abbiano espresso parere favorevole, pubblicano l’opera di un autore sconosciuto. Per questo, l’accettazione di un’opera da parte di un’Editrice rinomata è, per un autore, motivo di orgoglio, come la pubblicazione di un articolo su una prestigiosa Rivista, sulla quale risultano persino pochi gli esponenti del mondo accademico a cui sia consentita detta soddisfazione.

    Pare che una maggiore predisposizione a scommettere sul valore scientifico o letterario dell’opera di un autore sconosciuto la possiedano le piccole Editrici, nelle quali normalmente a fungere da consulente è lo stesso editore, che viene così di fatto a trasformarsi in uno scopritore di talenti.

   Certamente, se non si vuole che il mercato si saturi sempre di più e che venga a determinarsi una situazione ancora peggiore di quella che, come all’epoca lamentava Leopardi, era venuta già a crearsi nel primo Ottocento a motivo del fatto che venivano pubblicate troppe opere, una selezione di quelle a ragione più meritevoli di pubblicazione vada inevitabilmente effettuata.

    Resta il fatto che, al giorno d’oggi, risultano piuttosto numerosi coloro che sono costretti a rivolgersi ad una pubblicazione a pagamento, la quale non rappresenta certo una cosa umiliante[2], ma per la sua esosità non è certo alla portata di tutti.

     La cosa oggettivamente più spiacevole di questo tipo di pubblicazione è che essa, purtroppo, è inesorabilmente destinata a circolare solo tra conoscenti e amici e che non possa né entrare a far parte di un qualsivoglia Catalogo editoriale, né tantomeno raggiungere le librerie di tutt’Italia.

   Altro aspetto increscioso della pubblicazione a pagamento è che si è costretti a vendere da se stessi il proprio libro; cosa a cui, tuttavia, sembra che si prestino in pochi, in quanto i più preferiscono offrirlo in dono, con la speranza che poi coloro a cui venga donato si decidano comunque a leggerlo.

   Oggi Case Editrici, perlopiù di piccole dimensioni,  non disponendo di chissà quale catena distributiva, provvedono ad inviare la propria pubblicazione direttamente al lettore che la richieda, stampando così, di volta in volta, solo ed esclusivamente le copie effettivamente richieste ed evitando di dover poi destinare al macero le cosiddette copie invendute di un libro stampato.

   Certo, la sorte di un’opera pubblicata a proprie spese è molto diversa da quelle edite da famose Editrici, nel senso che, come è stato già sottolineato, non entreranno in alcun Catalogo o Collana editoriale e che potranno, tutt’alpiù, godere della Recensione di qualche giornalista locale, e non certo di un giornale o di una Rivista a diffusione nazionale.

   Il comune tipografo – si sa –  pagato per fare semplicemente di un dattiloscritto un libro, stampa qualsiasi contenuto; allo stesso modo del Direttore di un modestissimo giornale locale, il quale non procederà certo ad effettuare alcun controllo sul valore o meno dei lavori prodotti dai propri articolisti, né tantomeno verificherà l’effettiva paternità degli stessi.

    Va da sé che, nell’epoca di Internet, sono ormai profondamente cambiate le modalità stesse secondo cui vengono realizzati i prodotti di scrittura. Intanto, non è più possibile appurare quale sia stato il graduale processo elaborativo di un testo, esaminare cioè le cosiddette varianti, ovvero le modifiche apportate allo stesso in fase di rielaborazione, perché di qualunque modifica o miglioramento apportato ad un testo non rimane purtroppo traccia  alcuna sul computer.

   Ma la pratica più deleteria e truffaldina, oggi purtroppo sempre più diffusa,  è quella del “copia e incolla”, la quale porta inevitabilmente a far dubitare dell’effettiva autenticità, ovvero della paternità di qualunque prodotto odierno di scrittura.

    La tentazione d’incorrere in questa triste pratica sembra risulti irresistibile in coloro che, da un lato, si sentono molto attratti dalla bellezza di un determinato lavoro e, dall’altro, essendo ben consapevoli del fatto che trattasi di un qualcosa non assolutamente alla propria portata, s’illudono ingenuamente di poterlo spacciare per proprio.

    Un sia pur rapido riferimento va, infine, fatto ad una categoria di scrittori, forse la meno numerosa di tutte, la quale risulta composta da coloro che, poiché in balia del disincanto e dell’indifferenza più totali e propri dell’età avanzata, si mostrano ormai del tutto restii alla pubblicazione di ciò che hanno definitivamente deposto in un cassetto, ad eventuale disposizione solo dei loro più stretti congiunti a propria futura memoria.

[1] Nella pubblicazione che segue risultano raccolti alcuni “pareri di lettura”, a suo tempo elaborati da un folto gruppo di Consulenti, del quale hanno fatto parte – tanto per citare gli autori più noti – Elio Vittorini, Vittorio Sereni, Cesare Garboli, Enzo Siciliano : Annalisa Gimmi, (a c. di), Il mestiere di leggere. La narrativa italiana nei pareri di lettura della Mondadori,(1950-1971), Il saggiatore, Milano 2002

[2] Lo ha fatto più di un insigne scrittore, come – ad esempio – Italo Svevo

1 Commento

  1. Purtroppo è proprio così, chiunque frequenti una libreria di livello, perderà ogni speranza di vedervi presente il proprio libro, tanti sono oggi le pubblicazioni più o meno sospinte dalla pubblicità o dalla notorietà dei soliti…noti.

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