Nell’epoca del trionfo del materialismo, dell’edonismo e dell’esibizionismo risulta profondamente mutato il modo stesso in cui la vecchiaia viene ormai percepita dai più: la si teme e la si rifiuta al tempo stesso; si tende a spostarla sempre più in avanti negli anni e si fa di tutto per non farla notare.
Nella vecchiaia, indipendentemente dal proprio stato di salute, si affaccia più di frequente che in ogni altra età il pensiero della morte, anche se, per una sorta di pudore o di scaramanzia, si preferisce non confessarlo a nessuno. Si pensa anche a coloro che non ci sono più, cioè a genitori e a compagni di viaggio che se ne sono già andati da un pezzo.
Un altro pensiero che gira nella testa del vecchio è quello dell’Aldilà, che non si sa se inquieti di più coloro che possiedono il dono della Fede o chi è portato ad associarlo al nulla eterno. La verità è che, quando si avvicina il tempo della fatidica verifica, il dubbio s’insinua nella mente sia degli uni che degli altri.
Incerta – si sa – è tutta la vita, ma in vecchiaia l’incertezza è ormai di casa per i maggiori e innumerevoli rischi ai quali ci si espone in detta età, la cui durata varia così nettamente da un vecchio all’altro.
Oltre quella della buona salute, poche risultano le aspettative che i vecchi ripongono in relazione a se stessi ed è forse per questo che la vecchiaia viene detta l’età per eccellenza della saggezza e del disincanto.
Nessuna età risulta così legata alla stabilità delle abitudini ed è, al contrario, tanto restia alle novità, quanto l’età del ciceroniano Catone, dietro la quale suole nascondersi la paura che il vecchio solitamente prova nei confronti del cambiamento di ogni cosa che riguardi la sua vita quotidiana. In giovinezza tanta frenesia per i cambiamenti e le novità; in vecchiaia ci si preoccupa se, per una ragione o per l’altra, viene persino cambiato il letto in cui si dorme.
Ma la vecchiaia è soprattutto il tempo in cui si raccolgono i frutti di ciò che si è seminato lungo tutta la vita, sia a livello lavorativo-professionale che dal punto di vista familiare, amicale ed umano. La riconoscenza e la stima vengono immancabilmente tributati a chiunque abbia adempiuto ai propri doveri con zelo e bravura, così come con la disistima o il disprezzo viene puntualmente ripagato chi si sia comportato nel modo opposto.
I vecchi più stimati e amati sono, dunque, quelli la cui vita sia stata vissuta nella coerenza e non sia mai stata macchiata da alcuna colpa grave. La cosiddetta “voce del popolo”, nell’emettere i suoi implacabili verdetti, prende in considerazione, non già alcune sue singole fasi, ma la vita tutt’intera, non facendo sconti a nessuno.
Beati coloro che giungono alla vecchiaia portandosi dietro interessi e passatempi che ben si adattano all’età, il più gradito dei quali e il più trasversale ad ogni vecchio – istruito e non – resta pur sempre quello dello stare in compagnia degli amici più cari o del fare con gli stessi lunghe passeggiate, le quali tanto giovano sia allo spirito che al fisico.
Fortunati anche coloro che trascorrono la più parte della vecchiaia col proprio coniuge, senza essere costretti a percorrerne lunghi tratti da soli. La scomparsa del compagno di una vita, a cui inesorabilmente – per una legge della natura – tanti non possono sottrarsi, costituisce l’evento più triste di quest’età, perché getta nella desolazione e nello sconforto il coniuge superstite, togliendo senso al suo continuare a vivere.
Non sempre, tuttavia, la vita della coppia anziana si svolge all’insegna della dolcezza e della perfetta armonia. Talvolta, al suo interno vengono a determinarsi dissapori, incomprensioni e litigi, che neppure i figli – pur con tutta la loro buona volontà – riescono nella generalità dei casi ad appianare. Sono le coppie anziane che ormai da tempo immemorabile si sopportano a fatica e che dal loro burrascoso passato si trascinano dietro più di una fastidiosa ruggine, egoismo e invidia.
Nella vita dei vecchi, non c’è cosa più detestabile del rinfacciarsi reciprocamente, ad ogni pur piccolo diverbio, errori del passato o qualcuno dei difetti – chissà quante altre volte – già rimproverati.
Lo sguardo dei vecchi si posa da sempre con naturale curiosità sui giovani, attraverso i quali possono cogliere più di un segnale riguardo a quel tempo futuro a loro interdetto. I giovani osservati più da vicino sono i nipoti, grazie ai quali viene in certa misura a mitigarsi la loro consueta severità nei confronti delle ultime generazioni.
Da chi, da vecchi, ci si senta più amati è fatto del tutto soggettivo, anche se ad occupare il primo posto sembra siano i figli, nelle mani dei quali ci si affida completamente, una volta che non rimane più un briciolo di autonomia e si dipende in tutto e per tutto da loro. Ed è dai figli che il vecchio viene più a lungo ricordato, perché il ricordo dei nipoti è purtroppo tiepido e si sbiadisce piuttosto velocemente.
Non c’è errore più grave che avere alte aspettative rispetto ai figli, che non potranno mai essere quello che vorremmo fossero.
Bene.
Verissimo! Io ho lavorato 50 anni e ho scritto una cinquantina di libri in perfetto e facile italiano ma nessuno mi ricorderà! Come fare accettare ai miei figli la mia stessa condizione di scrittore e studiosa a pagamento senza la soddisfazione di un corale successo sociale visibile in vita?
Essendo agnostico con simpatie ateiste del dopo non mi curo. Con tutte le malinconie e le insoddisfazioni per il già vissuto non posso anche lacerarmi per il dopo, per il forse. Naturalmente, nonostante la perentorietà di queste affermazioni, anche io vivo le mie angosce quando il pensiero gira dalle parti dei “saluti finali”.
Ma più che la morte in sé, sono i dettagli che mi inquietano: la claustrofobia del sepolcro e l’infinità del tempo futuro. Quest’ultimo particolare è quello che più mi sgomenta e credo che l’importanza che assume nei miei pensieri abbia delle connotazioni psichiatriche. Sia il concetto di vita eterna dei credenti che il nulla eterno dei più realisti provoca in me un senso di tale vertigine che devo immediatamente sforzarmi di pensare ad altro.
Gli affetti sono un’altra storia e vivere una condivisione familiare o amicale è di grande conforto: lo sappiamo tutti. Ma anche in questo caso non mi curo del ricordo, del lascito, della cura. Io sto ancora tentando di vivere bene il presente, il giorno per giorno, senza programmi, promesse o giuramenti. Almeno per me, questa è la sfida più complicata del mio vivere e mi ci butto ma capofitto.
Per il resto va bene tutto. Quando, tra non molto, sarò vecchio e toccherà anche a me non mi farò tante domande. Credo che fumerò una sigaretta anche se tra cent’anni avrò smesso di fumare da quel dì.
Un caro saluto al moderatore di questa pagina, spero che accetti anche pensieri in libertà.