Come si fa carriera politica in Italia

    A differenza delle attività nelle quali non è contemplata alcuna carriera, quella del politico risulta contrassegnata da un’ampia serie di ruoli e incarichi ben diversificati per prestigio, livello territoriale e rimunerazione. Ciò consente di appagare ampiamente la malattia di cui da sempre soffre la classe politica italiana, l’ambiziosità, per la quale l’esponente di ciascun Partito, non accontentandosi della postazione raggiunta, fa di tutto pur di salire sempre più in alto.

      A fungere oggi da trampolino di lancio verso mansioni istituzionali di rilievo nazionale è soprattutto la carica di Governatore regionale o, in subordine, quella di Sindaco di una grande e importante città, sia per la notorietà che comunemente si accompagna a dette cariche, sia per la conseguente attenzione che i talk show televisivi e gli organi di stampa nazionale sono notoriamente soliti riservare a coloro che le ricoprono.

         In epoche ormai lontane, la carriera politica aveva perlopiù inizio nelle segreterie di partito che, specie nei piccoli centri, costituivano delle vere e proprie scuole non solo di formazione politica, ma anche civica, etica e culturale in senso lato. Le sedi partitiche erano, infatti, luoghi d’incontro e di socializzazione, dove si allargavano gli orizzonti culturali, si affinava la parlantina e si discuteva del più e del meno e, in particolare, degli antitetici sistemi politico-governativi rappresentati dall’Unione Sovietica e dagli Stati Uniti, l’uno dei quali veniva preso a modello, mentre l’altro era fatto oggetto di dileggio. Era attraverso le riunioni, i dibattiti di partito e i comizi nelle piazze che venivano fuori le personalità di spicco e i futuri leader.

        La cosiddetta gavetta consisteva, in fondo, in un più o meno lungo periodo di attesa, durante il quale ci si metteva a disposizione del Partito, svolgendo funzioni e compiti tra i più diversi, come fare volantinaggio, vendere porta a porta il giornale-organo del partito o diffondere fac-simili durante le campagne elettorali. Ma un’importante e decisiva opportunità era data dal godere della fiducia, dell’apprezzamento e della stima di qualche funzionario o vecchio volpone del partito.

            Tutto ciò, comunque, è andato via via scomparendo dall’epoca del boom delle tv private in poi e della sempre più intensa commistione della politica col mondo delle televisioni, ovvero da quando la carriera politica, soprattutto a livello nazionale, ha modificato profondamente le sue regole, fino ad arrivare al caso clamoroso dell’onorevole Renata Polverini che, da semplice segretaria di un minuscolo cartello sindacale, grazie alle continue comparsate nel talk show televisivo “Ballarò”, è diventata prima Governatrice della regione Lazio, per poi entrare stabilmente in Parlamento.

         Che la carriera sindacale abbia da sempre rappresentato anch’essa un trampolino per l’ingresso nel mondo della politica e per l’accesso ad importanti incarichi di carattere governativo e amministrativo non è da ritenersi una novità; il fatto inconsueto è semmai che, in conseguenza della notorietà acquisita negli studi televisivi, oggi si passi da un campo all’altro senza alcuna difficoltà.

       Per colui al quale, per soddisfarne l’ambizione politica, non si riesce a trovare un incarico entro i confini della patria, a partire dal 1979 in poi, c’è comunque a disposizione uno scranno nel Parlamento europeo, nel quale generalmente si entra in attesa di più gratificanti postazioni, o per trascorrere gli ultimi anni di carriera, com’è successo a Ciriaco De Mita, il quale alla fine non voleva più mollare, perché, si sa, la carriera del politico si vorrebbe non finisse mai. Va da sé che nel Parlamento di Strasburgo raramente vi entrano personalità di spicco e che per i giovani aspiranti politici detta esperienza finisce col rappresentare spesso un semplice debutto nel mondo delle rappresentanze istituzionali.

        Una rivoluzionaria novità nella carriera politica è quella che è stata introdotta dal M5S, nel quale, baipassando ogni genere di gavetta, un qualunque cittadino si è trovato, dall’oggi al domani, catapultato in Parlamento, attraverso la contestatissima selezione operata dalla Piattaforma Rousseau, o posto addirittura su un’importante poltrona ministeriale; con quali conseguenze hanno potuto constatarlo in molti e lo ha testimoniato anche il noto giornalista e parlamentare pentastellato Emilio Carelli che, avendo osservato il fenomeno da vicino, ha denunciato il forte abbassamento del livello di competenza della maggior parte di coloro che in Parlamento rappresentano detto Movimento; anche se, a dir la verità, non sono i soli.

        Un altro tipo di passaggio, anch’esso brusco e immediato, alla politica “alta” è quello che è stato inaugurato, nell’epoca del Sindaco della Roma capitolina, il grande intellettuale e critico d’arte G. C. Argan, e del suo altrettanto valido assessore R. Nicolini, inventore della famosa Estate Romana, attraverso la prassi di chiamare ad un incarico amministrativo un noto esponente della cultura o un rappresentante di questo o quel settore professionale, seppure del tutto sprovvisti di alcuna esperienza politica. Prassi che è ormai divenuta una consuetudine sempre più diffusa in ogni Partito a livello sia locale che nazionale e, in forza della quale, vengono fatti accostare alla politica perlopiù personaggi dello spettacolo, dello sport o del giornalismo.

        La carriera politica va invece incontro a dinamiche profondamente diverse nei numerosi Partiti personali, grandi e piccoli[1], nei quali a designare nomine e incarichi provvede un indiscusso Capo sulla base di criteri del tutto arbitrari e discrezionali e in ottemperanza a fattori quanto mai diversi fra loro. Negli stessi a contare sono soprattutto una qualche notorietà di cui il soggetto interessato già dispone, oltre che l’abilità, le blandizie e le accorte astuzie a cui lo stesso sa fare ricorso. Ma non meno complicata risulta la selezione del personale nei Partiti a più alto tasso di democrazia interna, dal momento che negli stessi ogni scelta va sottoposta al vaglio e al setaccio di più dirigenti, tra i quali, per l’ormai atavica divisione di detti Partiti in correnti, notoriamente vige una notevole rissosità.

      Una costante della classe politica italiana, si sa, è costituita dall’eccessiva longevità dei suoi rappresentanti, che è dovuta a varie ragioni, una delle quali è lo sconfinato potere ormai raggiunto da taluni ad ogni livello dentro al partito di appartenenza. Nel M5S, per impedire l’inarrestabile diffondersi di tale odioso fenomeno, è stata fissata la regola dei due mandati, di recente posta tuttavia in discussione. In ogni Partito, comunque, dovrebbe essere fissato un limite temporale alla carriera politica, per evitare che, come avveniva soprattutto nella prima repubblica, si creino di continuo politici come Andreotti, inamovibili e buoni per tutte le stagioni e per ogni genere d’incarico governativo.

      Nella lotta per la sopravvivenza politica, tuttavia, non mancano coloro che, come i vari Casini, Emma Bonino, Mastella, passando da un Partito all’altro, hanno più volte fatto il classico “salto della quaglia”, pur di non abbandonare lo scranno su cui siedono ormai da una vita; così come non escono mai di scena i politici eternamente presenti nei talk show televisivi, che fino all’ultimo cercano di godere di una qualche visibilità televisiva.

       Va da sé che dal modo in cui risultano al proprio interno strutturati i Partiti e da come in essi si fa carriera dipende la qualità stessa della politica e del personale che andrà poi a dirigere le diverse istituzioni del nostro Paese. C’è poco da lamentarsi, se tanti governi a livello comunale, regionale e nazionale funzionano male per via dell’inefficienza e dell’assoluta inadeguatezza dei loro esponenti.

      La questione qui affrontata risulta, dunque, determinante per le sorti stesse della democrazia, dal momento che la degenerazione in senso autoritario, personalistico, correntizio o corruttivo dei principali strumenti della politica, quali sono indiscutibilmente i Partiti, non favorisce di certo né una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita democratica, né tanto meno un miglior funzionamento degli Enti pubblici.

[1] Il panorama delle forze politiche dentro e fuori del Parlamento si presenta estremamente ampio e alquanto variegato, come in nessun altro Paese europeo. Nell’orbita del Centrosinistra risultano presenti, oltre al PD, Italia Viva di Matteo Renzi, Liberi e Uguali di Bersani, Sinistra Italiana di Fratoianni, Azione di Carlo Calenda, il Partito socialista, i Verdi di Angelo Bonelli, Più Europa di Emma Bonino e la Sudtiroler Volkspartei (Svp) di Arno Kompatspartei. Ai maggiori partiti di Centrodestra – Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia – vanno affiancati Cambiamo di Giovanni Toti, l’Udc di Lorenzo Cesa, Energie per l’Italia di Stefano Parisi, Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, Idea di Gaetano Quagliarello. Al M5S, al quale non si può trovare una precisa collocazione nell’Aula del Parlamento e che vive attualmente una fase di accese divisioni interne, va aggiunto il Gruppo Italexit del fuoriuscito pentastellato Luigi Paragone. Fuori dal Parlamento si contano ben 13 partiti, come Il Partito dei Comunisti Italiani di Marco Rizzo, Il Movimento sociale Fiamma Tricolore di Attilio Carelli, CasaPound di Gianluca Iannone, ecc. Un’ingovernabile e assurda situazione, che è destinata a perdurare, fino a quando non verrà adottato il deterrente di un’apposita, efficace e stabile Legge Elettorale.

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