La relazione educativa ieri e oggi

                     Senza dubbio, uno degli aspetti che risulta più profondamente mutato nella realtà scolastica odierna è la relazione educativa. E’ l’aspetto che si coglie con maggiore facilità, nel senso che chiunque abbia conosciuto, direttamente o indirettamente, la scuola del passato può constatare che gli insegnanti di oggi, almeno all’apparenza, appaiono più gioviali e disponibili con i loro discenti rispetto ai loro colleghi di un tempo. In questi ultimi era per lo più diffusa una concezione rigida del proprio ruolo, dalla quale venivano perlopiù indotti ad assumere atteggiamenti generalmente distaccati e freddi nei confronti dei discenti. E, in misura più accentuata rispetto ad oggi, accadeva che essi concepissero “il proprio ruolo in un’accezione riduttiva di carattere tecnico, identificandolo con quello di amministratori (in quanto detentori) dei saperi disciplinari”[1].

                     Tra i fattori che hanno maggiormente contribuito a far cambiare la relazione educativa è stato storicamente, a nostro giudizio, l’avvento della scolarizzazione di massa, la quale, “nel mentre segnava la fine dell’omogeneità socio-culturale nel campo dell’utenza, dall’altro ha comportato per i docenti la necessità di ricorrere all’adozione di atteggiamenti meno ortodossi e più liberali verso la parte studentesca. L’incantesimo dell’adeguamento automatico dell’una e dell’altra parte a certune regole interiori di comportamento veniva rotto dalla scomoda presenza fra le pareti scolastiche di tanti nuovi arrivati, che con le loro ansie contraddittorie, i costumi comportamentali diversi e gli incerti bisogni culturali mettevano in crisi il precedente <<ordine di cose>>, ispirando al docente l’assunzione di un diverso modo di essere. Né, per effetto della scolarizzazione di massa, mutava solo la qualità socio-culturale della popolazione scolastica, in quanto ad essa (…) si accompagnava l’ingresso nella scuola di decine e decine di docenti provenienti da categorie sociali diverse da quelle tradizionali”[2].

              Nella scuola di massa, oltre ad essersi ampiamente ingrossate le fila degli studenti di ogni ordine e grado, si è da subito vissuta anche una forte crisi d’identità, dovuta al fatto che l’insegnante ha dovuto fare i conti con un tipo di discente con caratteristiche trasversali ad ogni ceto. Situazione che si è protratta fino ai giorni nostri, in cui, nella generalità dei casi, gli utenti appaiono confusi, più refrattari agli stimoli degli insegnanti[3], meno organizzati nello studio, disordinati e poveri nell’uso dello strumento linguistico, più portati  –  per quel che concerne tempo libero e interessi  –  a trascurare quasi completamente la lettura e a privilegiare lo stare fuori casa col gruppo dei pari.

               Anzi i dati che si evincono dalla situazione più recente dicono che si è andata di molto affievolendo la forza della tv nei confronti delle ultime generazioni giovanili, le quali risultano maggiormente attratte da Internet e, più specificamente, da tutto ciò che ruota attorno ai social, specie da Instagram, in cui a fare la parte del leone sono solo le foto e i video e non si effettua più alcun ricorso, come su facebook, al testo scritto come forma comunicativa. Sotto questo profilo si registra piuttosto un arretramento dell’impegno che è richiesto ai giovani da detto tipo di social.

                 Nella società complessa, postmoderna, in continuo e rapido cambiamento, dunque, con la sempre più elevata diffusione di Internet, è in atto un processo di omologazione che ha mutato la fisionomia studentesca sia delle grosse realtà urbane che dei piccoli centri. Sono andati via via perdendo significato e importanza i grandi valori di un tempo, come quelli di onestà, lealtà, impegno, ecc., su cui si era modellata la formazione etico-morale delle generazioni vissute fino agli anni Cinquanta.

                Dal “5° Rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia” emerge che i  giovani, nel mentre apprezzano valori come amore, amicizia e famiglia, si lasciano tuttavia sempre più attrarre dai miti del denaro, del successo, della bellezza e del piacere. Tendono, inoltre, a scomparire le differenze, non solo fra i ceti, ma anche fra le età e i sessi. Deleteria l’azione delle televisioni dei giorni nostri, che, per quanto ormai poco seguite dai giovani, presentano la realtà allo stesso modo a tutti, sia ai vecchi che ai bambini, senza cioè quel “filtro pedagogico” di cui parlava Dewey all’inizio del secolo scorso. Capita così che, da parte degli individui di qualunque età, siano desiderate le stesse cose, per cui i soggetti più giovani anticipano esperienze tipiche del mondo adulto, ovvero legate al denaro, al sesso e ai motori, mentre gli adulti tendono a protrarre piuttosto a lungo atteggiamenti, comportamenti e mentalità che dovrebbero essere esclusivi del mondo giovanile.

                  Nella famiglia a dominare non sono più le differenze legate all’appartenenza generazionale, ma quelle individuali; e “nell’attribuzione di valore alla famiglia, una differenza fondamentale tra le attuali forme di aggregazione familiare e quelle immediatamente precedenti consiste nel fatto che non conta più quella capacità di risparmio in grado di assicurare al futuro dei figli la sopravvivenza in quanto gruppo solidale e compatto. Ciò che conta oggi è lo standard di consumi nel presente”[4]. All’interno della famiglia, inoltre, si riducono sempre più la coesione, la motivazione e il tempo a disposizione dei genitori per seguire, aiutare ed educare i figli.

                 E’, dunque, l’intero contesto socio-culturale del processo formativo ad essere profondamente cambiato rispetto a trenta o quarant’anni fa. Della qualcosa non possono non essere perfettamente consapevoli gli insegnanti, alcuni dei quali si mostrano demotivati e preoccupati per le difficoltà che incontrano quotidianamente nella comunicazione con gli studenti. Stando al Rapporto IARD già citato, gli stessi giudicano la società contemporanea e quella giovanile in particolare come portatrice più di disvalori che di valori. Anche il clima relazionale della classe è percepito in netto peggioramento. Più della metà dei docenti delle scuole secondarie ritiene che siano in aumento bullismo, atteggiamenti violenti, espressioni volgari e mancanza di rispetto tra gli uni e gli altri.

                    Il 60% degli studenti intervistati IARD dichiara di avere “molta” o “abbastanza” fiducia negli insegnanti, insomma più che in ogni altra categoria. Il maggiore difetto degli insegnanti, denunciato dal 67,3% degli intervistati, è quello di “non considerare le esigenze e il punto di vista degli studenti”. Il che confermerebbe quella tendenza, tuttora presente negli insegnanti, a non andare aldilà dei confini della disciplina nel profondere il proprio impegno professionale.

              Nell’odierno contesto appare indubbiamente in forte calo tra i docenti la motivazione etica, la quale un tempo risultava gratificata dalla maggiore considerazione che a loro era tributata sia dagli studenti che dall’intera società.  Varie risultano comunque le reazioni dei docenti nei confronti dell’odierna situazione scolastica: la maggior parte, pur avvertendo più di un disagio a motivo della marcata eterogeneità tra uno studente e l’altro in ordine a più di un parametro, si prodigano come meglio possono, per ottenere dal proprio lavoro il massimo dei risultati; quelli più avanti negli anni tengono ormai fisso il pensiero sul proprio imminente pensionamento; mentre tanti dei più giovani, per amore di tranquillità evitano ogni forma di conflitto con gli studenti e si sforzano di mantenere un atteggiamento improntato alla cordialità.

                      Tuttavia, è a partire dagli anni ’90 che si è fatta, seppure faticosamente, strada la convinzione che la scuola non può limitarsi a fornire ai propri utenti risposte solo in termini di apprendimento delle materie di studio e che invece occorra comprendere le diverse situazioni giovanili, per rimuovere gli eventuali fattori di disagio sociale o di emarginazione e per consentire allo studente il massimo delle opportunità di formazione e di realizzazione personale. I docenti hanno così cominciato a prendere sempre più consapevolezza dell’importante funzione educativa svolta dall’istituzione scolastica anche per quel che concerne l’evoluzione civile del Paese.

                 Ma, perché dal loro impegno quotidiano possano sortire sicuri frutti, c’è bisogno che la loro opera sia ispirata da una quanto più piena consapevolezza e da autentica motivazione. Secondo il filosofo R. Guardini, “si può dire che il primo fattore è ciò che l’educatore è; il secondo è ciò che l’educatore fa; solo il terzo è ciò che egli dice”[5].  C’è bisogno, in altre parole, di un’educazione testimoniata dall’esempio diretto e quotidiano del docente. I doveri e i valori si insegnano, più che per mezzo della parola, attraverso la pratica e la testimonianza. Occorre, cioè, come da noi affermato nell’opera già citata, che il docente ai valori “impronti l’azione educativa e il proprio rapporto con i discenti, così da rendere operanti tali valori nel vissuto stesso della scuola”[6].

                I ragazzi e i giovani, che sono costantemente alla ricerca di punti di riferimento stabili e sicuri, ovvero di certezze e di fedi, i “maestri” che non riescono a trovare nella scuola sono indotti inevitabilmente a cercarli altrove. Grande è in essi il bisogno di guide credibili e coerenti con se stessi.  Non trovandole né a scuola, né in altri ambiti di socializzazione, purtroppo, spesso le vanno a cercare tra i loro idoli, tra i personaggi famosi del mondo dello spettacolo o dello sport.  La più grande sfida che ha oggi di fronte a sé la scuola è rappresentata proprio dalla capacità o meno di riuscire a sintonizzarsi, ovvero a relazionarsi, quanto più efficacemente con la cultura, la sensibilità e le esigenze affettive ed emotive delle nuove generazioni.

                La scuola già da tempo ormai si trova a svolgere una funzione che è quasi sostitutiva rispetto a quella della famiglia: essa è di fatto il luogo dove il giovane si socializza e dove si trova, il più delle volte, a sperimentare il disagio, le frustrazioni, l’emarginazione, l’incomprensione, lo scoraggiamento, o il contrario di tutte queste cose, e cioè il successo, il benessere, la fiducia in se stesso, il senso di amicizia e di fratellanza, la realizzazione piena del proprio essere e la scoperta della propria identità.

[1] M. A. Galanti, Affetti ed empatia nella relazione educativa, Liguori Editore, Napoli 2002, p. 86

[2 Franco Federico, La scuola nuda, A. Armando, Roma 1989, p. 66

[3] Nel documento della SSIS della Toscana – Modulo di Psicologia – Pisa – Unità 3, concernente La motivazione scolastica, si legge: “E’ sempre più diffusa tra gli operatori scolastici la convinzione  di un calo complessivo di  motivazione all’impegno e allo studio tra gli allievi, in particolare della secondaria. Questo fenomeno sembra causato da una molteplicità di fattori e richiede opportuni interventi anche educativo-didattici”.

[4] Trisciuzzi, Fratini, Galanti, Dimenticare Freud? L’educazione nella società complessa, La Nuova Italia, Firenze 1998, p.178

[5] R. Guardini,  Le età della vita, Vita e Pensiero, Milano 1992

[6] F. Federico, op. cit.,  p. 137

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