”Racconti di fiume e di lago”: la summa letteraria di Filippo Falbo

Filippo Falbo, di Mesoraca, ma residente a Torino, è autore tra l’altro di importanti raccolte di versi che occupano un posto di rilievo nel panorama letterario italiano (come risulta, ad esempio, nel volume di Giuseppe Amoroso, emerito dell’Università di Messina: Retroparole, poesia italiana 1982-2009), tanto da essere stato apprezzato anche da Italo Calvino.

Legatissimo alla sua terra e alla sua lingua d’origine, conserva ricordi vivissimi del ricco e vivace mondo di una volta, radicato in costumi e tradizioni che purtroppo la sempre più pronunciata uniformità della realtà contemporanea tende a cancellare. Con un eccentrico estro fantastico egli sa rappresentare questo mondo ormai lontano, come nella recente raccolta “Racconti di fiume e di lago” che, su questa pagina, egli vuole dedicare non solo al suo paese, ma anche ai tanti altri luoghi che occupano un posto centrale nella sua memoria.

Il titolo del libro, nonché la sua prevalente ambientazione nel mondo contadino e paesano della nostra area geografica, in un primo momento possono generare l’aspettativa di una raccolta di storie di stile “verista”, che viene però subito smentita già dalla lettura delle prime pagine. Del resto, è nota, a chi conosce la fisionomia artistica di questo scrittore, l’avversione per un orientamento letterario che storicamente e simbolicamente segna l’inizio dell’autosvalutazione del Sud e dell’abbandono, per tanti, della nostra terra, per andare a pietire, com’egli dice, molto meno di quanto lasciato. Questo spiega il fatto che il libro rappresenta anche luoghi di emigrazione, come Lugano e Como, proponendosi come anticipazione di un romanzo (che si spera veda presto la luce) ambientato nella città di Mannheim, ben nota a molti compaesani dell’autore.

Guidato, quindi, da una poetica del tutto estranea alla formula verghiana di una scarna e distaccata rappresentazione della realtà, Falbo, partendo da figure e situazioni di apparente ordinarietà, con fervida fantasia ne rappresenta via via, invece, i tratti singolari e nascosti, sviluppando storie molto complesse sul piano sia dei rapporti umani e sociali che su quello dell’interiorità dei personaggi; curando con maestria e originalità narrativa particolari ambientali e psicologici, carichi spesso di senso del mistero e della difficile decifrabilità dell’esistenza umana, e tuttavia non privi di aspetti considerati con divertito ma pensoso umorismo.

Tutto questo accompagnato e favorito da una sorta di estroso e ricercato gioco lessicale ed espressivo (che talora si fa persino complicato e di non immediata decifrazione), il quale rende ancora più insolito e suggestivo un mondo descritto con grande partecipazione umana.

Per finire, aiuta certamente la comprensione di questo interessante libro il fatto che esso intende rappresentare il riassunto di un vasto repertorio creativo che dovrebbe confluire in una sorta di summa letteraria di carattere polimetrico, guardando a precedenti illustri, come il Satyricon di Petronio Arbitro, o la Vita Nova di Dante, o La vita di Benvenuto Cellini, o anche, in epoca recente, i Canti Orfici di Dino Campana, di cui, non a caso, Filippo Falbo è attento studioso, avendone anche fatto, tempo addietro, una lettura critica (Campana pittore) ospitata in una miscellanea in onore di Giorgio Barberi Squarotti.

Alberto Figliuzzi

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