Divagazioni contro-corrente sulla gita scolastica ( pubblicato sul n.10 del 15 giugno 2003 di “Nuova Secondaria” )

Puntualmente, ogni anno in questo periodo, in quasi tutte le scuole si svolgono le gite, nella maggior parte dei casi, destinate agli studenti delle classi terminali, sia delle scuole superiori che della scuola dell’obbligo. Non mancano, tuttavia, gli istituti nei quali le gite sono permesse anche alle altre classi: basta trovare i dirigenti, i docenti e i genitori favorevoli, e la gita è fatta! Riguardo al parere favorevole dei ragazzi, non c’è da avere il benché minimo dubbio; anzi, se la scuola potesse trasformarsi in un perpetuo “viaggio d’istruzione”, il problema dei bassi livelli di motivazione e d’interesse delle nuove generazioni nei confronti dell’offerta formativa sarebbe già bell’e risolto.
Chi scrive non è contrario in linea di principio alle cosiddette “gite d’istruzione”. E’ piuttosto scettico circa l’eventualità che le stesse possiedano una valenza autenticamente istruttiva, a meno di non voler ritenere che tutto, tanto nella scuola quanto nella vita, abbia comunque una ricaduta in termini di apprendimento, ovvero di crescita culturale, e di educazione. Una riflessione obiettiva, coraggiosa e disinteressata sulle tante esperienze che sono state fino ad oggi realizzate in questo campo e sui loro effettivi risultati andrebbe fatta da parte di tutti, a meno di non voler ormai considerare la gita come qualcosa di ineliminabile o, comunque, di assolutamente immodificabile rispetto alla prassi che si è fin qui consolidata.
Occorre domandarsi, innanzitutto, se abbia giustificazione alcuna il fatto che si debbano sottrarre all’anno scolastico dai quattro agli otto giorni di lezioni, per fare posto ad un’esperienza che – in teoria – sembra possedere più di una ricaduta dal punto di vista culturale ed umano, ma che – in pratica – con la scuola non ha a che fare in nessun modo. Come si possono negare, inoltre, gli effetti fortemente negativi che la gita ha inevitabilmente sull’andamento didattico sia dei giorni che la precedono che di quelli che la seguono? Accumulare notti insonni e giornate dal ritmo febbrile determina inevitabilmente una sbornia, che al ritorno non è facile smaltire in poco tempo. La frenesia e lo scombussolamento collettivi sono tali che normalmente i ragazzi ritornano dimagriti e con la testa per più giorni restia alla concentrazione. In tali condizioni riprendere la normale routine del lavoro scolastico è obiettivamente difficile, come è dato constatare a qualunque attento insegnante.
Accade poi il fatto alquanto curioso che, anche quando alla gita non partecipa tutta intera la classe, i compagni che sono rimasti a casa, per una sorta di solidarietà di comodo, rinunciano ad entrare a scuola nei giorni di svolgimento della gita. Per cui, di fatto, i giorni di lezioni li perdono tutti, anche quelli che non vi partecipano. Capita persino che, da parte degli stessi, non sia accettata la proposta, eventualmente avanzata dal Consiglio di classe, di impiegare le giornate di assenza dei compagni in gita con lezioni finalizzate ad ulteriori delucidazioni, o all’approfondimento, o ad esercitazioni.
Che dire poi del fatto che la meta prescelta è quasi sempre all’estero e che ad orientarla sono ragioni di convenienza economica o di semplice gustosità e non ragioni di opportunità culturale o formativa? Le agenzie turistiche, che ben conoscono questo stato di cose, hanno fatto bene ad adeguarsi prontamente al gusto e ai bisogni correnti, nel senso che sanno bene che cosa offrire ai giovani studenti per conquistarsi il loro consenso.
La gita è diventata insomma una sospensione bell’e buona delle lezioni, ovvero una vacanza con relativo divertimento assicurato. I genitori, pur non ignorando le scarse opportunità culturali e formative dell’odierno turismo scolastico, nella maggior parte dei casi non svolgono – come fanno ormai del resto in tante altre circostanze – alcuna funzione né di scelta, né di orientamento, preferendo assecondare quasi ciecamente la volontà dei figli.
Per gli studenti di piccoli centri la gita rappresenta la prima occasione, per quanto breve, di fuga dal proprio ambiente, una possibilità d’immersione in quel mondo metropolitano, tanto mistificato dalle odierne televisioni. Se si considera l’influenza che di solito il trovarsi a far parte di una comitiva esercita su ciascun soggetto nel favorire atteggiamenti audaci e trasgressivi, e se si tiene presente che l’azione di vigilanza da parte dei docenti cosiddetti accompagnatori in più di un caso viene di fatto meno, si ha ragione di temere che la valenza della gita può andare ben al di là del semplice divertimento, configurandosi come un’esperienza in tutti i sensi molto rischiosa. E’ risaputo, ad esempio, che nelle ore notturne, molto spesso, i ragazzi autonomamente si organizzano la nottata all’insaputa dei loro docenti. Accade per questo che l’indomani gli stessi disdegnino la visita al museo, preferendo restare in albergo a recuperare il sonno e le energie perduti durante la notte, o che, non potendo rifiutarsi di seguire la comitiva scolastica, si trascinino stancamente e con una noia infinita nelle attività “culturali”, comprese nel programma della giornata.
Il contributo più importante e significativo per un’inversione della rotta fin qui seguita a proposito delle gite scolastiche non può che provenire dai docenti e dai dirigenti, ovvero dagli uomini di scuola, più coscienti e responsabili. Non si può, né si deve guardare alla gita come a qualcosa d’ineluttabile; accettare passivamente e quasi con un senso d’impotenza le forme, le regole e le consuetudini che sono venute ad affermarsi nell’ultimo periodo. Gli interessi in gioco – si sa – sono molteplici; gli operatori del settore turistico-alberghiero pretendono che siano tenute in considerazione le loro giuste esigenze, per cui la scuola non può mancare di dare il suo apporto allo sviluppo dei consumi.
La mentalità collettiva studentesca, attraverso le tante gite d’istruzione che sono state realizzate in tutti questi anni, è divenuta tale, per cui la gita è ormai percepita come un fatto di pura e semplice evasione, a cui può benissimo non accompagnarsi alcuna occasione di arricchimento culturale. Tanto la cosa più importante di tutte è divertirsi, ovvero assaporare un po’ di vita notturna, lontano dagli occhi indiscreti di chiunque, genitore o docente che sia. A questa mentalità ha finito con l’adeguarsi buona parte dei docenti, qualcuno dei quali si dichiara senza ombra di dubbio convinto che la gita – anche così “conciata” – possieda comunque una valenza formativa di non poco conto.
Il docente che provi a manifestare contrarietà a questo stato di cose, per quell’inevitabile condizionamento che il gruppo più numeroso in simili circostanze sempre esercita sul gruppo in minoranza, non può sostanzialmente ottenere che scarsi ed insoddisfacenti risultati. La verità è che questo tipo di docente farebbe meglio a starsene a casa o meglio a scuola, rinunciando (come, per esempio, ha fatto il sottoscritto per vent’anni) ad assumere il ruolo di docente-accompagnatore e, di conseguenza, ad andare in giro per le capitali europee senza cacciare una lira dalla propria tasca; che obiettivamente è cosa che fa comodo a chiunque.
D’altra parte, occorre riconoscere che, per quanto risultino pochi, non mancano gli insegnanti e i giovani capaci di coniugare, senza eccessive difficoltà, il momento culturale della gita con quello del divertimento, pure in presenza del condizionamento di cui si è detto sopra. E’ vero, purtroppo, che le comitive scolastiche sono riuscite ormai a crearsi le loro regole, e queste quasi immancabilmente finiscono con l’imporsi su tutti, anche sugli eventuali dissenzienti.
Se la scuola non può più fare a meno di organizzare “gite d’istruzione”, deve tuttavia compiere ogni sforzo perché le stesse si svolgano con comitive il meno possibile numerose. E, prima che siano realizzate, si dovrebbe pensare a mettere in piedi qualche iniziativa volta a “preparare” gli studenti ad affrontarle con la dovuta consapevolezza, così che questi possano trarne il massimo dei vantaggi proprio dal punto di vista formativo. Sarebbe opportuno, per esempio, che il giovane imparasse a conoscere le regole elementari di comportamento sociale e di civismo, che sono indispensabili alla vita di gruppo fuori dalle pareti scolastiche, ed i suoi obblighi di membro di una comitiva. Ciò può sembrare ben poca cosa, ma è forse il minimo che si possa tentare di fare, in attesa di tempi migliori.

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