I Classici in soffitta

   È difficile immaginare che, al giorno d’oggi, si possano ancora incontrare lettori di opere composte in epoca medievale, rinascimentale o barocca. Ancor più difficile è poter credere che un simile lettore possa coincidere con un ragazzo o un giovane dei giorni nostri. Che abbia “studiato” o meno sembra non avere più alcuna importanza, visto che i comportamenti sia dei giovani scolarizzati che di coloro i quali sono a mala pena riusciti a completare la scuola dell’obbligo si equivalgono ormai quasi alla perfezione.  Ragion per cui la letteratura pre-ottocentesca rappresenta il pa­trimonio di un gruppo non molto esteso di lettori, che pos­siamo definire “specialisti”.  Qualche brandello della stessa letteratura viene assaggiato nel periodo scolastico, ma, per ragioni che sarebbe qui lungo spiegare, nella maggior parte dei casi tali assaggi servono poco a suscitare il gusto di questo, o di altro tipo di letteratura.

     E’, insomma, cosa quanto mai improbabile che lettori dei giorni nostri si indirizzino verso la conoscenza integrale di opere come, ad esempio, la “Divina commedia”, il “Decameron”, “l’Orlando furioso” o “La Gerusalemme liberata”.  E ciò non solo per la difficoltà quasi insormontabile dovuta all’enorme distanza tra la lingua, in cui risultano espressi detti capolavori, e la lin­gua odierna, o all’eccessiva pregnanza dei riferimenti cultu­rali e retorici, che è sottesa allo stesso tipo di scrittura, ma per quel senso di profondo distacco con cui la coscienza dell’uomo d’oggi si pone nei loro confronti.

    La scuola, si sa, con­tribuisce non poco ad alimentare intorno alle stesse opere un’aureola di reverenzialità, che non giova cer­to a farle percepire come vicine al proprio raggio di sensibilità e di cultura. Un’operazione, come quella che è stata qualche tempo fa compiuta da Aldo Busi e Piero Melograni, di tradurre in lingua ed immagini moderne classici famosi della letteratura trecente­sca e cinquecentesca, come il Decameron e Il Principe, risponde appunto alla necessità di acco­stare queste “difficili” e reverenziali opere ad un pubblico quanto più va­sto possibile.

   Non c’interessa qui entrare nel merito di que­sta discutibilissima operazione; ci preme piuttosto prendere atto di un dato di fatto alquanto significativo: i classici delle epoche più lontane, malgrado l’azione educativa svolta dalla scuola, sono destinati a restare sconosciuti al grosso pubblico. È come se fossero stati ormai depositati per sempre in un’immaginaria soffitta, da dove mai nessuno forse andrà a prelevarli. E certo non è facile trovare il modo per contrasta­re l’ineluttabile destino di queste monumentali opere, di cui non è richiesta la lettura integrale neppure a coloro che in futuro dovranno educare alla letteratura e attraverso la let­teratura, come gli studenti delle Facoltà universitarie di Lettere, chiamati a sorbirsi una mole sproporzionata di saggi criti­ci, spesso poco piacevoli e destinati a non aiutarli certo a comprendere meglio il complesso mondo della letteratura e la fisionomia reale dei suoi poco probabili fruitori.

     Il che non succede, al contrario, con i prodotti paraletterari, nei quali si nota piuttosto una sem­plificazione dei codici di lingua e di forma, che altro non costituisce che un venire incontro alle esigenze di un tipo di lettore abituato ad un godimento prettamente affabulativo, a rivolgere cioè tutto l’impegno verso il contenuto. E’ quel­lo che Marcello Pagnini definisce il “lettore della lettura comune”, che “ricerca principalmente i contenuti, le vicende, le esperienze, è pronto a immedesimarsi coi personaggi fino a manifestazioni di alta empatia; non si preoccupa gran che di questioni formali; nel caso migliore, riceve dalla letteratu­ra qualche presa di coscienza del proprio stato esistenziale.  Come tipo è in genere un lettore abbastanza pigro, che rifiu­ta la fatica del leggere in profondità, quando la pagina ri­chieda un impegno più forte”.

     L’una cosa – “il lettore della lettura comune” –  sembra, dunque, combaciare alla perfezione con l’altra, cioè con la paraletteratura. Si tratta, oltretutto, di un lettore cresciuto nell’era delle televisioni e, per ciò stesso, abituato a ricezioni disimpegnate in ordine sia all’apporto riflessivo che alla stessa continuità ricettiva. Di che tipo di ricezione si tratti, bene lo evidenzia l’immagine del telecomando, ovvero la pratica dello “zapping”, il simbolo dell’incessante mobilità dell’attenzione e della concentrazione, ovvero del tempo libero concepito come puro ed assoluto divertimento.

     Che dire poi di quei prodotti di sottocultura, come l’ultimo libro di Fabrizio Corona, “Non mi avete fatto niente”, che si è piazzato all’apice delle classifiche attuali di vendita e alla cui pubblicazione, prescindendo da ogni qualsivoglia ragione di carattere non commerciale, si è prestato persino un prestigioso Editore come Mondadori. Ad attrarre, in questo caso, tanti lettori non è stata certo la semplificazione dei cosiddetti codici stilistico-narrativi, ma il semplice fatto che l’Autore, un personaggio del mondo del gossip e delle cronache giudiziarie, con le sue confessioni erotiche, è andato a solleticare la morbosità e i più bassi istinti dell’odierno tipo di lettore.

   Quest’ultimo si barcamena così tra i prodotti di paraletteratura e di pornografia bella e buona e quelli, ancor più numerosi, che gli sono offerti dalla variegata realtà televisiva e dal mondo del web, dove egli trascorre non meno di tre ore al giorno, occupandosi perlopiù dei social, su cui si sono ormai trasferite, da un lato, la quotidiana cronaca esistenziale di ciascuno e, dall’altro, l’aspra battaglia politica dei giorni nostri, combattuta a colpi di ingiurie e falsità.

     Ma a riflettere la contraddittorietà del nostro tempo è il fatto – raro sì, ma non impossibile –  che, a fronte dei tanti che hanno escluso completamente la dimensione della lettura dalla propria vita, non mancano, tuttavia, coloro che guardano poco le televisioni, navigano su Internet per necessità e non per passatempo e, cosa ancor più sorprendente, provano piacere a leggere un bel classico letterario, anche di epoche ormai lontane.

1 Commento

  1. La risposta rimane la stessa: c’è un interesse di fondo del sistema a far si che il lettore sia sempre meno attento, meno interessato, sicuramente che non sia portato all’approfondimento, che rimane materia degli intellettuali, anch’essi controllabili e controllati.

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