La TV dei giorni nostri (II°)

Non si può certo demonizzare in blocco la televisione, come se ogni suo programma fosse da gettare nella spazzatura. “La televisione fa bene e fa male, aiuta e danneggia. Non deve essere esaltata in blocco, ma nemmeno può essere condannata indiscriminatamente”.[1]        L’appiattimento, dovuto essenzialmente alla battaglia degli indici di ascolto, ha prodotto un danno senz’altro maggiore alla televisione del servizio pubblico che, in quanto dispone delle risorse finanziarie derivanti dal pagamento del canone da parte dei telespettatori, avrebbe potuto e dovuto farsi meno condizionare dagli sponsor commerciali, ritenendo di dover svolgere una funzione di utilità sociale. Ma, come è noto, l’annacquamento della funzione del servizio pubblico è stato l’esito del timore di perdere completamente quell’egemonia di cui la televisione di Stato poté godere ai bei tempi del monopolio.

           Un altro grande errore commesso sia dalla televisione pubblica che da quella privata è stato quello di adattare i programmi ai gusti del pubblico meno esigente, ovvero più rozzo e grossolano dal punto di vista culturale. Al contrario si sarebbe dovuto puntare ad elevare il gusto del pubblico a standard più dignitosi e culturalmente accettabili. Del resto, il divertimento può essere concepito in modi tali, da conciliarsi comunque con l’intelligenza e il buon gusto. La televisione dell’ultimo periodo, secondo A. Grasso, “ha paura dell’originalità; non riconosce la diversità degli utenti (è costruita infatti per tutte le intenzioni e per tutti gli scopi), è volgare. Volgare perché la gente si assomiglia nei suoi interessi pruriginosi ed è invece molto differenziata nei suoi interessi civili”.[2]

         Sta di fatto che, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, e poi per tutto il decennio successivo e oltre, i programmi che per la loro grande novità e per la conseguente attrazione di pubblico si sono imposti maggiormente all’attenzione dei pubblicitari sono stati quelli riconducibili al genere del Reality show, come Grande fratello, Amici e Uomini e donne – tuttora in vita – e che possono essere scelti ad emblema dell’ultima televisione sia per il forte impatto che hanno avuto in ambito giovanile dal punto di vista emotivo, sia per la crudezza realistica della rappresentazione televisiva.

         Una delle principali ragioni del successo del Reality show è costituita dalla spiccata predilezione che, attraverso esso, è stata ingenerata nel pubblico televisivo per le faccende private, ovvero per la segreta dimensione esistenziale, sia di personaggi famosi, sia di persone comuni, prese, – come si suol dire – dalla strada.  Viene meno così a poco a poco l’interesse per le grandi questioni del momento, quelle che potrebbero inquietare gli animi dei telespettatori o annoiarli, e si enfatizzano invece i fatti della dimensione privata. Il pubblico viene così narcotizzato dalle confessioni dei tanti personaggi o dalla varietà dei diversi temi affrontati, su cui sono espressi opinioni e pareri del tutto contrastanti, che dal pubblico sono percepite come uguali l’una all’altra, in quanto nella “piazza televisiva” non conta tanto l’autorevolezza, ovvero le competenze professionali, di colui che parla, quanto il tono stizzito e rissoso con cui lo si fa.

        Grande Fratello, il reality di maggiore successo e la cui prima edizione risale al settembre del 2000, riprende 24 ore su 24 con le sue telecamere una decina di persone o più, che sono costrette a vivere per un periodo di circa tre mesi sotto lo stesso tetto, con tutto ciò che può conseguirne dalla coabitazione forzata di persone, precedentemente sconosciute l’una all’altra, in fatto di innamoramenti, rapporti sessuali, simpatie/antipatie, contrasti, conflitti, liti, risse, ecc. Questo tipo di programma, oltre ad assecondare il desiderio pruriginoso di spiare dal buco della serratura, riflette l’ambizione oggi largamente presente in quasi tutti gli strati sociali di apparire in televisione, per diventare subito famosi, senza bisogno cioè di dimostrare di saper fare qualcosa di particolare.

          Quanto al programma Amici, va precisato che esso, nato nel lontano 1992, fu affidato ad una esordiente, destinata a diventare una delle donne più potenti e ricche della televisione italiana, come Maria De Filippi, la quale allora vantava come unico merito quello di essere l’ultima compagna di Maurizio Costanzo. Ma detto programma era tutt’altra cosa rispetto all’edizione odierna, che l’ha visto trasformarsi in uno dei tanti talent show, oggi tanto in voga. Allora, infatti, ospitava solo ragazzi che raccontavano ad un pubblico, formato anch’esso da ragazzi, le proprie storie di vita, affrontando temi alquanto delicati e scottanti, come tossicodipendenza, prime esperienze sessuali, separazione dei genitori, gravidanze precoci, ecc. Alla De Filippi il facilissimo compito, come del resto continua a fare anche nei molteplici programmi da lei condotti attualmente, di osservare il tutto standosene seduta da qualche parte.

        E seduta imperterrita sul gradino di una scala la si vede anche in un altro suo programma, pur esso ultraventennale, come Uomini e donne, del quale è stata realizzata in periodo relativamente recente un’edizione, ancor più patetica e, per certi versi, ridicola, dedicata a ospiti più che anzianotti, in cerca di compagnia sessuo-sentimentale. A chi si ponga eventualmente l’angoscioso interrogativo “Come faccia un programma siffatto a durare così tanto”, non si può che rispondere appellandosi all’imperiosa Legge della televisione odierna, la quale recita come segue: “fintanto che trova un congruo numero di telespettatori che lo guardano, un programma può durare all’infinito”, come accade al mestiere più antico del mondo.

        Un altro genere della neo-tv italiana, i cui formati diverranno sempre più numerosi negli anni successivi, è il talk-show, che nel nostro Paese è stato inaugurato da Bontà loro, condotto tra il 1976 e il ’77 da Maurizio Costanzo, il quale in seguito spettacolarizzerà detto genere trasferendo il successivo Maurizio Costanzo Show al teatro Parioli di Roma con tanto di pubblico e di musica, e che può considerarsi ormai il più longevo di tutti. Nell’unico talk show della tv britannica invece, il “Question Time”, domina sovrana l’imparzialità anche in un periodo, come quello attuale, in cui furoreggia l’antipolitica, non si vedono sempre le stesse facce e a porre domande non concordate è solo il pubblico, mentre in Italia c’è stata una vera e propria proliferazione di questo genere di programma. Anche se, durante la prima fase della storia dei talk show italiani, questi erano molto diversi da quelli di oggi. Basti pensare a Samarcanda che, negli anni1987-1992, ha goduto di un grandissimo successo, grazie alla sua fortunatissima formula, basata sui collegamenti esterni con i protagonisti dei fatti socio-politici o culturali più importanti del momento, come il crollo del Muro di Berlino, Tangentopoli e le stragi mafiose del 1992.

       Nei più recenti talk-show, come Di martedi, Cartabianca, Piazza Pulita, ecc., invece, scorrazzano sempre i soliti giornalisti e i soliti personaggi. E la cifra essenziale degli stessi risulta costituita dalla palese partigianeria e dalla sfacciata faziosità dei rispettivi conduttori, che sono stati, nell’ultimo periodo, capaci di far diventare ministri addirittura dei politici ignoranti, boriosi e senza alcun lavoro, mestiere o professione. Si sa, la televisione è lo specchio fedele del suo tempo e, per dirla con Diego Fusaro, quello di oggi è un tempo che “si è fatto tanto buio da non essere nemmeno più in grado di avvertire come mancanza la morte di Dio e dell’Ideale”.

      Due parole, infine, sulla pay-tv, ovvero le tv a pagamento, che in Italia si chiamano Sky, Premium Mediaset e Dazn e la cui presenza sul mercato nazionale, oltre ad arricchire l’offerta televisiva, ha contribuito a ridimensionare notevolmente il ruolo dell’emittenza tradizionale. I canali della pay-tv risultano monotematici (cinema, sport, calcio, ecc.), per cui si prestano ad abbinarsi facilmente con gli altri canali, soddisfacendo nel contempo i particolari interessi dei telespettatori.

[1] SARTORI G.,, op. cit., p.20

[2] GRASSO A., Storia della televisione italiana, op. cit., p. XXXIII

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