Tendenze e contraddizioni dell’odierno mondo dell’informazione

                       È dal caso Desirèe, la ragazza sedicenne uccisa nella notte tra il 18 e il 19 ottobre u. s. in un casolare abbandonato del quartiere romano San Lorenzo, che prende lo spunto la presente riflessione, incentrata sulle modalità con cui l’informazione, sia di carta stampata che televisiva, è portata, perlopiù, ad affrontare fatti del genere. Intanto, alla triste vicenda della povera Desirèe tutti gli organi di stampa hanno dato, per giorni e giorni, ampio rilievo, svolgendo la funzione che in casi del genere è normalmente quella di offrire al lettore quanto più particolari minuziosi, volti a soddisfare la curiosità morbosa di quanti si appassionano proprio a questo tipo di notizia.

              Mentre, di fronte ad un evento del genere, non sarebbe niente male sollecitare piuttosto nei lettori e negli spettatori qualche riflessione e, nella fattispecie, sottolineare – per quanto, a primo acchito, sembri che non ce ne sia proprio bisogno –  l’importanza del ruolo che in una vicenda come questa può e deve svolgere la famiglia, al fine di evitare che si verifichino simili e orribili fatti. Perché la domanda che si pone ogni persona normale è come abbia potuto una ragazza di così giovane età, come Desirèe, sfuggire completamente al controllo dei propri genitori e finire preda di un mondo e di una realtà così atroce e degradante. Quasi sempre la famiglia che sta dietro a simili fatti è una famiglia rotta o alquanto “complicata”.

                 La verità è che, purtroppo, l’informazione, così come le televisioni, dei giorni nostri – fatta qualche rara e dovuta eccezione – puntano ad estraniare e divertire il pubblico, avendo già da tempo dismesso quella che un tempo era chiamata la funzione etico-pedagogica e non curandosi di altro che di fare grandi ascolti o di fare aumentare le copie vendute dei giornali. Accade oltretutto che, o per un malinteso senso del pluralismo e del rispetto altrui, o per paura di essere tacciati di moralismo, ci si guarda bene dall’entrare in determinati argomenti o dal dare qualche consiglio, con intento pedagogico-educativo, su problematiche che si sa in partenza essere piuttosto scabrose e soggette ad un elevato tasso di opinabilità e a furiose contrapposizioni. A guadagnarne da queste ultime, si sa, sono gli odierni talk-show.

               Ma, sul lato opposto, c’è anche un tipo d’informazione che delle situazioni più drammatiche ne approfitta per imbastirci sopra il solito copione infarcito di retorica, di frasi fatte e d’ipocrita pietismo, che serve solo a sollecitare tutti i tasti dell’emotività del pubblico o, peggio, a seminare indignazione generalizzata e paura nei confronti di qualcosa o di qualcuno. Vi sono giornali e trasmissioni televisive che vivono proprio di questi eventi così dolorosi e che si trasformano in una sorta di “processo di piazza” nel quale, come accade normalmente in un’aula di tribunale, gli stessi vengono sciorinati in ogni pur minimo particolare, per essere sottoposto all’esame di più personaggi, molti dei quali non possiedono alcun titolo per esprimere, con credibilità, valutazioni e giudizi ad esso attinenti. Ma l’importante è che siano comunque volti noti alla maggior parte del pubblico televisivo.

              Resta comunque il fatto che i parametri in base ai quali viene giudicata la qualità dell’informazione risultano oggi profondamente cambiati rispetto al passato, nel senso che da fattori qualitativi come la sobrietà, l’attendibilità, la chiarezza, l’onestà intellettuale e la completezza si è passati a fattori come il sensazionalismo, la trivialità e la volgarità bell’e buona, per mezzo dei quali si punta a catturare l’attenzione di ogni tipo di lettore e di spettatore. Tra le televisioni, è risaputo, si combatte ormai da tempo la dura guerra dell’audience, ma anche nel mondo giornalistico si è scatenata in periodo recente una concorrenza spietata tra i giornali on line e quelli di carta stampata, oltre che tra i cosiddetti social e i vari blog entrati a far parte sempre più numerosamente del mondo dell’informazione. Ragion per cui, pur di ritagliarsi un proprio spazio in un settore che per le ragioni anzidette si è complicato non poco recentemente, si finisce per ricorrere ad ogni mezzo, il più efficace dei quali è costituito da sempre dalle notizie come quella della terribile vicenda di Desirèe, che stuzzica più o meno la curiosità di tutti.

               Chiunque legga i giornali da più decenni avrà senz’altro avuto modo di comprendere che, negli ultimi tempi, la strategia di presentazione delle notizie ha subito cambiamenti piuttosto profondi e che molto probabilmente il giornalismo della carta stampata, come non era mai accaduto prima, risulta sempre più influenzato da quello televisivo, il quale, nell’epoca della moltiplicazione delle emittenti televisive, punta tutto sullo scontro delle posizioni e sulla faziosità di anchor-men, opinionisti e conduttori di talk-show, bravi proprio nell’uso di dette tecniche. Questa influenza non ha risparmiato neppure i cosiddetti giornali d’élite che si sono anch’essi messi ad inseguire le mode e le tendenze più in voga nell’odierno mondo televisivo, come si può constatare osservando, oltre a quanto sopra evidenziato, il massiccio uso del colore, di foto e di titoli gergali e/o sensazionalistici e di contenuti tipici dei rotocalchi e dei programmi televisivi di puro intrattenimento.

              Questo processo degenerativo dell’informazione di carta stampata, che ha fortemente intaccato il suo tradizionale decoro e prestigio, ha riguardato, com’era inevitabile, la natura stessa del linguaggio da essa tradizionalmente impiegato, nel senso che, come fa ormai sistematicamente l’informazione televisiva, punta a sollecitare, non il raziocinio dello spettatore, ma la sua emotività, attraverso la pratica  frequente di delegare la funzione d’illustrare un fatto accaduto ai suoi stessi protagonisti, i quali sono immancabilmente portati a colorire la loro narrazione attraverso particolari  scabrosi, scandalistici, o espressioni gergali, propri della sottocultura a cui gli stessi appartengono

2 Commenti

  1. Caro Franco, l’analisi purtroppo è corretta,il decadimento dei valori nell’intera società non poteva che riverberarsi sull’ informazione, che, a sua volta, per resistere alla concorrenza dei media, è “costretta” a scendere sullo stesso piano. Certo bene non ha fatto l’indigestione social, dove tutto sembra avere importanza per il solo motivo di apparire. Siamo schiavi del denaro e delle sue perversioni.

  2. Caro Franco, ho letto con la dovuta attenzione il tuo articolo e, non posso fare altro che fare i complimenti sia per il linguaggio equilibrato che per l’analisi degli argomenti trattati. Altri, forse, avrebbero usato termini. quali sciacallaggio, inconscio uso di parole ed immagini per suscitare sensazioni e reazioni nel pubblico ecc. Ma quello che mi colpisce ancora e mi preoccupa, è l’uso o meglio l’abuso, di determinati anchormen che farebbero bene a nascondersi, visto il basso livello di educazione personale che di volta in volta esprimono. Mi riferisco naturalmente all’assidua presenza di Sgarbi, di giornalisti, Mughini ecc. che farebbero bene a non mostrarsi in pubblico. Così come andrebbero evitate le interviste di personaggi in odore di ” santità “. Oggi infatti hanno intervistato un Casamonica che a momenti voleva sembrare una brava persona. Tutto ciò , caro Franco, non è informazione, ma, innanzitutto, mancanza di professionalità e di rispetto per il pubblico.

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