L’Europa tra sovranismo, populismo e burocratismo

La partita in gioco nelle Elezioni europee del 2019 sarà, come facilmente prevedibile, quella tra sovranisti ed europeisti. In ballo c’è il destino stesso dell’Europa, la quale potrebbe dissolversi nel nulla, se la vittoria arriderà a coloro che aspirano all’uscita dall’euro, al ritorno della moneta nazionale e della sovranità di cui le nazioni godevano prima della nascita dell’Unione. Va precisato, tuttavia, che i principali problemi dell’Europa hanno avuto origine nel periodo stesso della sua fondazione. Basti pensare al mancato compimento del processo federativo e al fatto che questo si è realizzato dall’alto, senza che una volontà in tal senso sia stata espressa dai singoli popoli, ovvero senza il diretto coinvolgimento dei cittadini, i quali, pur dopo tanti anni, risultano a tutt’oggi privi di quel “sentimento popolare europeo”, auspicato dal Manifesto di Ventotene e del quale ci sarebbe attualmente tanto bisogno per infondere una più ampia fiducia nell’istituzione europea.

Come è noto, nell’iniziale fase di attuazione del processo federativo europeo furono coinvolti, non tanto i popoli, quanto invece le classi dirigenti, perché, come affermato dal massimo pioniere dell’unione europea, Altiero Spinelli, c’era da “costituire, mediante una politica di chiarificazione e di raggruppamento, un’unità di vedute e di volontà nel seno delle forze dirigenti dei diversi paesi d’Europa, al fine di avere le istituzioni democratiche federali”. Né si poté certo ignorare che enormi difficoltà sarebbero state frapposte sia dal ceto politico, che da parte dei popoli delle diverse nazioni, dal momento che i politici erano portati “a considerare i problemi della convivenza internazionale in funzione della propria potenza nazionale”, mentre la coscienza comunitaria in quello stesso periodo appariva tutt’altro che diffusa, dopo secoli di divisioni e di disastrose guerre tra una nazione e l’altra dell’Europa.

Resta, tuttavia, il fatto che l’unione europea, nell’immaginazione collettiva, sembra nata, non tanto per i nobili propositi dei suoi emeriti fondatori, quanto invece per depoliticizzare, ovvero neutralizzare, sempre più le scelte sociali ed economiche e per dare all’economia un’impronta selvaggiamente neoliberistica. E, d’altra parte, non si riesce oggettivamente a comprendere perché il processo di realizzazione del federalismo europeo si sia interrotto, perché cioè sia stato limitato a semplici Trattati e ad accordi di natura prettamente economico-finanziaria e perché, infine, l’Europa resti tuttora priva di tasselli importanti, come un esercito sovranazionale e un unico ministero rispettivamente delle finanze e della politica estera.

Ma ciò che, più di tutto, negli ultimi anni ha messo in crisi l’istituzione europea è il modo in cui questa risulta percepita dalla maggior parte delle sue popolazioni, le quali continuano a considerarla un’entità astratta e del tutto indifferente alle proprie sorti e capace solo di stabilire limiti rigorosi in termini di deficit e debito/PIL e di attuare politiche impopolari, tese all’austerity e al mero aggiustamento dei conti. L’Europa, cioè, viene sempre più vista, da un lato, come un sovrapotere che impedisce ai governi nazionali di attuare le proprie politiche economiche (e poco importa che detto impedimento sia esercitato al fine di procurare qualche vantaggio a questo o a quello Stato nazionale); e, dall’altro, come un potere tecnocratico disumanizzato, che non obbedisce ad altro che a logiche di opportunità prettamente economico-finanziaria.  La crescente popolarità di Salvini e del governo gialloverde che, proprio in questi giorni, sta sfidando le autorità di Bruxelles con un inedito braccio di ferro costituisce la prova del forte distacco attualmente esistente tra le istituzioni europee e i cittadini.

Un altro fattore che ha dato grande impulso all’euroscetticismo risulta costituito dal clamoroso e reiterato fallimento della gestione dell’inarrestabile fenomeno dei flussi migratori, che non poco ha concorso a sfaldare lo spirito di unione europea e a riaccendere bieche rivalità e antichi egoismi nazionali che sembravano ormai sopiti per sempre. Il processo d’integrazione europea – ammesso che esso sia mai iniziato nel senso auspicato dai fondatori – ha subìto in tempi recenti e in conseguenza del fallimento di cui sopra un’energica e quasi irreversibile battuta d’arresto. E, oltretutto, qualche forza politica come il Pd, proprio su tale questione si è visto decimare i propri consensi.

Se poi si pensa alla Brexit e agli orientamenti politici espressi di recente a livello elettorale, in più di un Paese europeo, come l’Ungheria, la Polonia, l’Austria e l’Italia, in cui si va ripetutamente registrando la vittoria delle cosiddette forze politiche sovraniste e populiste, che con le loro istanze antieuropeistiche rischiano di compromettere pericolosamente la compattezza del vecchio continente e di minare alla radice il principio di solidarietà e lo spirito di unione, c’è da cadere nel più cupo pessimismo. Ma, a fomentare l’atteggiamento euroscettico, oltre al già citato rifiuto dell’accoglienza dei migranti, sono altri fattori, come l’insicurezza generata dagli attacchi terroristici e la preoccupazione per gli effetti della perdurante crisi economico-finanziaria e della globalizzazione.

Si spera, comunque, che nel tanto temuto appuntamento elettorale della prossima primavera le forze politiche federaliste riescano a prevalere e successivamente a superare le sfide impegnative a cui oggi l’Unione europea deve far fronte, la più importante delle quali consiste nel porre un efficace argine all’illimitato dominio dei poteri finanziari nelle scelte, nelle politiche e nella vita degli Stati nazionali e nel favorire l’attuazione di una quanto più equa redistribuzione della ricchezza.

 Sarebbe certamente un fatto gravissimo far ritornare la storia europea indietro di secoli, disperdendo il grande patrimonio etico e ideale lasciato alle generazioni future dai fondatori dell’Unione, e rompere un’unione che, pur con tutti i suoi difetti, è riuscita ad assicurare alle popolazioni europee, se non il grande progresso sociale ed economico tanto sperato, quantomeno un lungo periodo di pace.

3 Commenti

  1. Ottima analisi che però non prevede un ritorno alle idee fondatrici dell’Europa. I popoli devono scegliere chi li deve governare, non le forze economiche, altrimenti siamo punto ed a capo. Considerato, poi, il fallimento delle politiche dell’austerty, vanno varate politiche capaci di creare lavoro e benessere. Pertanto , bene fa il governo italiano ad insistere sulla nuova politica. Non dimentichiamo la fine della Grecia, determinata dai provvedimenti suggeriti dalle banche.

  2. L’articolo caro cognato è puntuale come sempre, ma vorrei porre la domanda: se credete così fermamente nel sistema democratico perché mettete in dubbio il volere “popolare”? Personalmente credo che questo sistema sia nelle mani di una determinata classe sociale e che il “volere” delle masse che dovrebbe estrinsecarsi con il voto sia del tutto ininfluente. Chiediamoci a chi giova l’attuale instabile situazione politica europea. In ogni caso grazie delle tue puntuali analisi

  3. Anche se ci possiamo definire in pace.
    La crisi economica, politica, sociale e istituzionale – che stanno vivendo le democrazie occidentali, in particolar modo quelle europee ha prodotto dal punto di vista economico gli stessi effetti di una guerra.

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