Democrazia e TV

               Per tante persone oggi la televisione s’identifica con una sorta di surrogato della vita. Si pensi agli anziani, alle casalinghe, alle persone sole, per i quali è diventata la compagna della solitudine. E fra le tante trasmissioni che sono seguite negli orari più strampalati e che sono dedicate ai giochi a quiz e alle ricette di cucina, da tempo ha ormai fatto il suo ingresso la politica, le cui tematiche più attuali sono quotidianamente affrontate da politici e giornalisti che, variando poco tra una puntata e l’altra, hanno acquistato, agli occhi dei telespettatori, la stessa notorietà dei personaggi dello spettacolo. Tra i più presenzialisti e, per questo, più antipatici di tutti, si possono annoverare Mario Giordano, Marco Travaglio, Maurizio Belpietro, Daniela Santanchè, ecc.

    Il dibattito politico si è così spostato dalle Aule parlamentari nei salotti televisivi, il che comporta conseguenze a vari livelli molto importanti, la più evidente delle quali è costituita dalla forte incidenza del mezzo televisivo sulla formazione dell’orientamento politico degli elettori. Come si è avuto modo di chiarire in un precedente lavoro, la maggior parte degli italiani, oggi, si decide a votare questo o quel partito, questo o quel leader, e si forma un’opinione sulle questioni politiche del giorno, proprio attraverso la televisione e non certo attraverso la lettura di un quotidiano o di un settimanale, perché – si sa – a leggere questo tipo di giornali è un numero molto esiguo di persone.

         Per questo, l’attuazione della democrazia passa oggi attraverso l’uso del mezzo televisivo, nel senso che offrire di continuo, nelle trasmissioni più seguite, spazi di comunicazione a politici che non fanno che parlare alla pancia dei telespettatori, servendosi di un linguaggio semplificato al massimo; ricreare intorno agli stessi le condizioni più favorevoli possibili, come l’assenza di qualunque forma di contraddittorio e di confronto con giornalisti che possano pensarla diversamente dagli stessi o con i loro diretti avversari politici, equivale a sconvolgere le regole fondamentali del gioco democratico.

         Come senz’altro ricorderanno i lettori più anziani, nella televisione di una volta ad occuparsi di politica era solo, a partire dai primi anni ’60, la “Tribuna politica”, che fu ideata allo scopo di consentire ai partiti dell’epoca d’illustrare i propri programmi e le proprie strategie e di affrontare temi di grande interesse nazionale. Tuttavia, i rischi per le sorti della democrazia cominciarono a profilarsi, dagli anni ’90 in poi, in conseguenza della diffusione delle tv private e commerciali, come fu prontamente notato dal noto filosofo austriaco Popper, il quale, proprio in quel periodo, ebbe ad affermare appunto che “Una democrazia non può esistere, se non si mette sotto controllo la televisione”.

       Oggi poi, con i molteplici talk-show diffusi in quasi tutte le reti televisive, i rischi per la democrazia si sono oggettivamente fatti più elevati che mai. D’altro canto, non si può certo pensare che detti rischi possano essere in qualche misura ridimensionati dalla  “par condicio”, dal momento che questa si limita solo a regolare la rotazione degli esponenti dei diversi partiti all’interno di un medesimo programma televisivo e ad assegnare un’uguale quantità di tempo all’uno e all’altro, ma non interviene neppure minimamente né sulle modalità di svolgimento del programma, né sulla scelta del tema, né sulla tipologia degli altri ospiti, dei servizi e dei collegamenti esterni, né tantomeno sul trattamento  che è riservato ai diversi politici e che varia in ordine ai più diversi aspetti a seconda proprio del politico presente in studio. Si pensi, ad esempio, a programmi come “Quinta colonna” o “Dalla vostra parte”, prodotti da televisioni berlusconiane e i cui autori e conduttori hanno potuto tranquillamente, puntata dopo puntata, seminare per un lunghissimo periodo allarmismo, odio e paura sulle cruciali questioni della sicurezza e dei migranti, così contribuendo in considerevole misura al successo di un politico come Salvini, che ha puntato tutto proprio su questi cavalli di battaglia.

     E, dal momento che, ai giorni nostri, hanno un assoluto bisogno di fare audience, le televisioni tendono a sfruttare il più possibile la popolarità proprio del politico da esse stesse reso un personaggio di rilievo agli occhi del pubblico. Poco importa che, così facendo, le stesse concorrano al successo elettorale di una determinata forza politica piuttosto che di un’altra e/o che facciano di un politico qualsiasi un trionfante leader; che in fondo è quel che è avvenuto, negli anni appena trascorsi, con i vari Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, ecc. Accade così che il fine delle televisioni di assicurarsi i più alti indici di ascolto (da cui i lauti guadagni ottenuti dai propri sponsor pubblicitari), combaci perfettamente con quello del leader politico, proteso ad accrescere di continuo la propria popolarità.

        Oggi, dunque, la popolarità del politico ha ben poco di spontaneo o di naturale, essendo la stessa costruita da una vera e propria “macchina da guerra”, formata da grandi esperti della comunicazione che operano sul fronte sia delle televisioni che dei social network, come Facebook, Twitter e YouTube. Sono questi esperti che decidono le strategie mediatiche da adottare e che istruiscono il politico sul modo migliore di comportarsi nei tg e nei talk show, spingendolo a fare uso solo di slogan semplici e comprensibili a tutti, atti a suscitare il massimo dell’empatia col pubblico del web e delle televisioni. E la cosa davvero incredibile è che sono proprio i vari Casalino a fare in modo che il loro politico, quando è invitato come ospite di un programma televisivo, venga trattato dai conduttori e dai giornalisti con i guanti gialli, così da risultare brillante nel corso di tutta la trasmissione. Se i conduttori non accettano dette condizioni, non viene concesso alcun lasciapassare alla partecipazione di questo o di quel politico al loro talk show.

      Sul web, l’altro importante campo di costruzione della popolarità del politico, vengono di continuo installati migliaia di video e di messaggi ricchi di news – vere o false, poco importa – volti, da una parte, ad esaltare il proprio leader e, dall’altra, a monitorare di continuo le opinioni e i sentimenti della gente, in modo da poter così assecondare ogni desiderio di questa. Ciò non avviene certo solo nel periodo di campagna elettorale vera e propria, ma per tutto l’anno. Solo così si può comprendere come un Salvini abbia potuto passare in pochi mesi dal 17 per cento dei voti ottenuti nelle ultime elezioni politiche al 32 per cento delle preferenze che gli viene attribuito dai sondaggi degli ultimi giorni e come mai lo stesso, anche adesso che dovrebbe svolgere un delicato e complesso compito, quale quello di Ministro dell’Interno, se ne sta da mattina a sera fuori per strada.

2 Commenti

  1. Caro Franco, tutto vero per carità, ma in quello che dici c’è già la negazione di fatto che la democrazia sia una cosa reale e realizzabile; prima di Popper il vecchio barbuto aveva già stigmatizzato la questione affermando che la cultura dominante è comunque quella della classe dominante, in tal senso l’informazione non fa che “il suo”!

  2. Caro Franco, ancora una volta leggo con piacere i tuoi articoli perchè equilibrati e capaci di indurre le persone a riflessioni non semplici. Tra le altre, volevo esprimere un mio concetto, concernente la democrazia, di cui ti fai paladino. A mio avviso, nel nostro paese esiste una democrazia un pò falsata. Perchè ? Ma se il cittadino non ha più la possibilità di scegliersi, attraverso il voto, i rappresentanti in sede politica, quale democrazia è? Sai benissimo che con l’ultima legge elettorale, gli eletti vengono scelti dal segretario del partito, tra i suoi candidati. E, con questo metodo, si permettono di recuperare anche coloro che sono stati platealmente bocciati dagli elettori. E questa ti sembra democrazia ? Quando il popolo viene annullato nella sua volontà e gli si vieta di partecipare, con il voto, alle sorti del governo, scegliendone la forma, di tutto si può parlare, ma non di democrazia.

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