Ma il PD è davvero morto?!

                       A giudicare da ciò che dicono quasi quotidianamente coloro che desiderano intensamente la sua fine, il PD è già morto e sepolto da un pezzo, cioè da quando sono cominciate le grandi batoste, da quella del Referendum alle elezioni politiche nazionali, fino ad arrivare alle ultime amministrative. Il fatto curioso è che a diagnosticare al PD la “sicura morte”, sia tra i giornalisti che tra i politici, sono coloro che – si fa per dire – gli vogliono più bene di tutti, come Andrea Scanzi, Marco Travaglio, Alessandro Sallusti, Maurizio Belpietro, Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, ma ci fermiamo qui, perché di questi tempi l’elenco sarebbe davvero molto più lungo.

                        Eppure, se la notizia della morte del PD avesse un qualche fondamento, bisognerebbe, non fosse per altro che per amor di democrazia, mostrarsi un po’ preoccupati, visto che nel Paese si creerebbe un grave squilibrio per il venir meno nel nostro sistema politico del partito più rilevante e consistente della Sinistra e – guarda caso – dell’unico che risulta dotato di uno Statuto e di una serie di Organismi volti al funzionamento della democrazia interna; che svolge periodicamente Congressi in cui in streaming si dibatte, sul serio e non per finta, delle questioni cruciali della vita del Paese; e che seleziona la propria classe dirigente attraverso delle Primarie, un metodo discutibile quanto si vuole, ma pur sempre perfettibile, democratico e nient’affatto dirigistico.

                      Un secondo aspetto davvero curioso è che proprio da parte delle forze politiche, sprovviste delle caratteristiche sopra ricordate e i cui capi risultano assolutamente irremovibili, è  quasi a tamburo battente avanzata la richiesta che scompaia definitivamente dalla scena pubblica l’ex-Segretario del PD, pur essendo stato, a suo tempo, eletto per ben due volte democraticamente e per un periodo ben circoscritto e non “vita natural durante”, come i capi delle suddette forze che si sono autoproclamati capi da se stessi.  Medesima cosa fanno i giornalisti, i quali non spendono neppure mezza parola per sottolineare l’anomalia che, in ordine allo stesso aspetto, si dovrebbe invece notare nel Partito di un Silvio Berlusconi, o di Giorgia Meloni, o di Beppe Grillo, nei quali in proposito si registra un tale deficit di democrazia, da risultare evidente pure agli asini.

                    Ma ad indurre un ampio fronte di critici ed avversari a dichiarare morto il PD sono state non solo le clamorose batoste, ma anche il modo in cui avrebbe reagito e continuerebbe a reagire alle stesse. Intanto l’errore più grave del PD, secondo i consueti detrattori e gli esponenti della minoranza interna dello stesso partito, sarebbe stato quello di non essersi alleato col M5S; errore foriero, secondo gli stessi, di un altro ben più grave errore che è quello di aver consegnato il M5S tra le braccia di Salvini. Vano fin qui si è rivelato ogni tentativo volto a chiarire che sarebbe stato sicuramente un suicidio andarsi ad alleare, dopo una batosta clamorosa come quella del 4 marzo, col M5S che fin dalla sua nascita non ha fatto altro che rivolgergli accuse pesantissime di ogni genere e il cui programma fa a pugni con il suo. Dunque, non sono stati il M5S e la Lega a volersi liberamente alleare per un’affinità di fondo evidente a tutti, ma la loro alleanza è da imputarsi unicamente al PD, anzi a Renzi, che ci ha messo lo zampino “televisivo”, mentre avrebbe dovuto non muovere neppure un dito per evitare che si compisse il suicidio completo del proprio partito.

                   E, poi, quella del PD, qualunque cosa dica del Governo Gialloverde, è comunque sterile e vuota opposizione. Tesi questa, che si è ormai tradotta in un tormentone che non finisce mai e che ha trovato l’ennesima eco sul Corsera del 30 giugno scorso, su cui G. Berardinelli ha scritto che “quel che piuttosto colpisce è la sostanziale latitanza del Partito democratico, dal quale non sono venute né una riflessione seria sulle ragioni della sconfitta elettorale né una critica sulla politica del governo che avesse un vero spessore politico (il corsivo è nostro)”. Siamo ormai di fronte ad un vero e proprio mantra.

                    Piuttosto che una seria critica della sua crisi, ch’eppure – va riconosciuto con tutta onestà – è stata fatta e in tutte le salse, i detrattori quotidiani, interni ed esterni, del PD avrebbero preferito che Renzi, considerato l’unico responsabile della stessa, fosse stato scacciato dal partito a calci nel sedere, dopo essere stato pubblicamente dichiarato il peggiore premier che l’Italia abbia avuto. Come se lo stesso si fosse potuto accusare d’inerzia, d’incapacità o di atteggiamento compromissorio e corruttivo, o come se lo stesso fosse assimilabile ad un Berlusconi che uscirà di scena solo quando Dio vorrà, mentre nel di lui caso risulta vero il contrario, essendo stato eletto Segretario del proprio partito in modo plebiscitario per due volte di seguito.

                   Quanto alla crisi, che – come è risultato evidente a tutti, al di là della cortina fumogena della retorica e della polemica, –  ha investito la Sinistra anche nelle sue frange estreme, così venendo meno il semplicistico alibi di un unico capro espiatorio, va detto che le sue ragioni sono molteplici e più complesse di quanto si creda. A volerne esporre nel modo più schematico possibile qualcuna delle più importanti, va innanzitutto detto che al Pd è toccato dal 2011, ovvero dalla caduta dell’ultimo governo Berlusconi, accollarsi sulle spalle il difficile e delicato compito di guidare il Paese durante la crisi più grave del secondo dopoguerra, e non da solo e né con alleati liberamente scelti, ma con alleati-avversari imposti dalle circostanze. Durante lo stesso periodo la società italiana è stata attraversata da un sentimento d’insicurezza causato dall’imperversare dell’ondata migratoria e d’incertezza e di paura per il proprio futuro, alimentato dal continuo martellamento delle televisioni, specie di quelle in possesso del principale competitore politico.

                    Dall’altro lato, determinante è risultata l’influenza esercitata dalle sirene populiste che, approfittando del momento favorevole della crisi e del diffuso malessere sociale, sono riuscite ad incantare le masse con slogan di facile presa e con promesse tanto rassicuranti, quanto assurde, ma alla fin fine ampiamente credute. È mancata, è vero, una riflessione sui cambiamenti profondi intervenuti in tutti questi anni nella società italiana e si sono persi di vista proprio i ceti sociali maggiormente colpiti dalla crisi, così che, come diceva Bertolt Brecht, “il popolo ha chiesto al comitato centrale di cambiare le sue decisioni, il comitato centrale ha deciso di cambiare popolo”. Un’ultima, ma non meno importante, considerazione va rivolta a quel che Bauman chiama “il flusso inarrestabile della modernità liquida”: nell’universo globale di oggi, cioè, tutto è diventato ormai liquido, il consenso elettorale, la paura, il lavoro, l’amore, nulla più si mantiene uguale e a lungo nel tempo. Ma questo, cari leghisti e cari pentastellati, vale anche per quel che potrà accadere da domani in poi

                   Che dire poi del “cupio dissolvi” da cui, fin dai tempi di Occhetto, Bertinotti, Veltroni e D’Alema, è incessantemente colpita la Sinistra nel nostro Paese, per cui negli odierni talk show tra i critici più severi del PD ci trovi quasi sempre i suoi stessi esponenti. Ed è in questo modo che il potere è finito nelle mani di Di Maio e di Salvini, mentre i vari Emiliano, Orlando, Cuperlo, Franceschini, Bersani e company passavano il loro tempo a discreditare la Sinistra, facendoci così venire in mente i passeri della bellissima narrazione storica, “Schiuma della terra”, di Arthur Koestler, i quali “cinguettano sui fili telegrafici mentre il filo trasmette telegrammi con l’ordine di uccidere tutti passeri..”

                Un tempo, non molto lontano, quando vigeva il tanto rimpianto, quanto sano principio del centralismo democratico, accadeva molto di rado che compagni del PD guardassero con diffidenza e sospettosità altri compagni, al punto di dirne peste e corna, o che si andasse a spifferare ai quattro venti che non si condivideva il pensiero e l’operato del proprio leader, così da determinare nella testa della gente comune nient’altro che disorientamento, confusione e discredito verso il proprio partito. Non erano ancora nate le funeste e perniciose correnti di democristiana memoria, né tantomeno le fondazioni e le associazioni, per lo più al servizio di questo o di quel politico alla spasmodica ricerca di visibilità.  La rissosità, ormai presente al centro come in periferia, si è diffusa endemicamente nel PD per il semplice motivo che negli altri partiti vige solo la regola del Capo, ogni decisione del quale non può essere soggetta né a critiche, né tantomeno ad alcuna contestazione. Tutti si mostrano servili e obbedienti al volere del Capo e, quand’anche questi non ti abbia affidato il seggio adatto per farti eleggere al Parlamento nazionale, come è successo nelle recenti Elezioni alla sconsolata Nunzia De Girolamo, non si verifica certo l’abbandono del partito, ma questa  se ne sta quieta e tranquilla ad aspettare la successiva occasione di rimonta.

               Purtroppo, sulla crisi del PD ha pesato anche questo continuo sparlare del proprio partito, che ti spinge a domandarti che cosa in esso ci faccia uno come Emiliano, l’attuale governatore della Puglia, che non perde occasione per parlarne più male lui di un Brunetta e che si spertica di continuo, lui e il suo servo Boccia, il consorte della De Girolamo, in elogi del M5S e dei suoi ministri. Per questo la selezione della classe dirigente è una cosa troppo importante e seria, per farla in alcun modo condizionare dal ruolo sociale svolto dalla persona: tanto per tornare all’esempio già fatto, che cosa mi può importare che Emiliano abbia svolto il ruolo di Magistrato, se poi tutto sembra meno che uno del PD. Tant’è che il sottoscritto, insieme a tantissimi altri, più di una volta, gli ha consigliato su qualche social network di abbandonare finalmente il PD e d’iscriversi al M5S.

4 Commenti

  1. Condivido solo in parte l’attenta analisi fatta. Un partito si compone di uomini e di regole. Di uomini veri e capaci, nell’ultimo trentennio, non se ne sono visti. E se qualcuno cercava di mettere in evidenza idee nuove ma non confacenti con quelle dei leaders, veniva subito messo da parte e non ricandidato. Le regole, invece, sono state dimenticate, in nome di un personalismo capace di ridurre le sedi territoriali in centri di potere del politico di turno. Altro che democrazia interna e congressi liberi. Tutto si era ridotto al famigerato gruppo di tessere o di corrente che ha finito per svilire l’azione del partito. Così, piano piano, col venir meno del potere, anche le sezioni locali sono sparite. C’è poi un altro problema serio : la sinistra. Essere di sinistra, una volta significava saper coniugare le esigenze della base con le idee del partito. Era il popolo al centro della politica, anche se tutto non veniva realizzato pazienza!. restava la speranza. Questo Pd, dal 2011 ha distrutto la speranza, ha ignorato i bisogni della gente e si è schierato con i poteri forti. Non ha saputo governare la crisi e ha lasciato il timone ad una Europa asfittica, capace solo di imporre sacrifici. ” Ce lo chiede l’Europa !” Questa era la frase in voga. E la gente ora cosa doveva rispondere? Avete consegnato l’Italia alla finanza, ci avete imposto sacrifici, ci avete fatto perdere il lavoro, non avete saputo o voluto governare i flussi migratori, rendendo insicure le nostre città, ecc. ecc. e adesso cosa volete il voto ? Quindi non è solo question e di uomini e di regole venute meno. E’ venuta meno la fiducia nel progetto della Sinistra. Ormai non è più credibile e sarà difficile che rinasca, anche se ci sarebbe bisogno di una svolta.

  2. In effetti da decenni il Comitato Centrale ha cambiato popolo; di più, si è fatto promotore dell’ infausta teoria della mutazione della società, quasi che operai e sottoproletariato si fossero estinti nella “liquidità”. In realtà la povertà si è fortificata e polarizzata e non ha più “attratto” gli interessi di una “sinistra” che pensava di aver compiutamente abbracciato gli interessi dei ceti medi, che, invece, aimé di son dissolti dinanzi alla crisi mondiale da sovrapproduzione. Stare a sinistra significherebbe scegliere una parte e difenderla, invece pare che si debba fare come Arlecchino e servire più padroni. Buonpro gli faccia!

  3. Non so se il PD è morto, né, onestamente, mi sono posto il problema. Per come era diventato negli ultimi tempi, penso che fosse diventato un partito inutile, più che dannoso. In un caso e nell’altro mi auguro che possa riposare. In pace.

  4. Secondo me,modestissimo parere, la ‘narrazione’ del disfacimento della sinistra e del centro sinistra,col trattino o senza,parte e comincia da lontano,le guerre fratricide c’erano già a partire dalla metà degli anni ’70,arrivando all’attuale atomizzazione,trovare nel PD di oggi e in Renzi,un capro espiatorio, sarebbe a mio parere fuorviante.In ogno caso mi chiedo: come mai tanti giornalisti lo vorrebbero morto e sepolto?

Leave a Reply

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*