Un odioso abuso di potere

L’abuso in questione è quello che è perpetrato ormai da anni dalle televisioni, sia pubbliche che private, per quanto riguarda la propaganda dei libri appena pubblicati. Sono pubblicizzate solo e unicamente opere di personaggi noti o della televisione stessa, come conduttori di talk show o giornalisti, o del mondo dello spettacolo, così che in nessun caso come quello di cui trattasi sembra tanto appropriata e veritiera l’affermazione che la TV odierna è del tutto autoreferenziale.

    I personaggi famosi godono, dunque, di un duplice privilegio, in quanto, oltre a trovare accesso, in virtù della loro notorietà, presso le più rinomate ed importanti Case Editrici, come Mondadori, Rizzoli, ecc., incontrano in seguito anche tutte le porte aperte alla pubblicizzazione quanto più efficace dei loro libri. Conta poco il fatto che il tema da essi affrontato sia interessante o meno, o che possiedano in grande o modesta misura le capacità di scrittura; ciò che incide più di tutto è il fattore-notorietà sia per riuscire ad ottenere la pubblicazione presso il famoso Editore, che per far raggiungere al proprio libro grande successo di vendite e, di conseguenza, lauti guadagni, come quello del pentastellato Alessandro Di Battista, che per i due libri pubblicati con Mondadori ha già intascato 50 mila euro, conquistandosi persino la qualifica di giornalista del Fatto Quotidiano, pur senza  aver  mai svolto precedentemente simile mansione. E con Mondadori  – si pensi un po’ – è riuscito a pubblicare persino un personaggio tanto chiaccherato e tutt’altro che un modello di virtù come Fabrizio Corona, giunto a ben quattro libri.

     Si è venuto così a creare un odiosissimo “circolo vizioso”, grazie al quale il libro del personaggio famoso, a prescindere dai suoi effettivi valori, non solo è pubblicato dal grosso Editore, ma beneficia anche di tutte le più vantaggiose forme di pubblicizzazione, così che il successo delle vendite è comunque assicurato. L’esempio in proposito che ci viene subito in mente è quello del giornalista Giovanni Floris, il cui ultimo libro riguarda un settore, come quello scolastico, sul quale ogni anno sono pubblicati decine e decine di lavori. Si provi a pensare a coloro che, pur avendo dato vita a validissimi saggi imperniati sulla scuola che essi conoscono molto bene per averci tanto a lungo vissuto dentro, non hanno tuttavia potuto godere di una così fortunata opportunità di vedere la propria opera entrare nel catalogo di una prestigiosa Editrice e di essere poi pubblicizzata al massimo.

    La categoria professionale più privilegiata, in relazione alla questione qui considerata, è senza dubbio quella dei giornalisti sia televisivi che di carta stampata, i quali, bazzicando di continuo come ospiti dei vari talk show, se la cantano e se la suonano come meglio pare a loro e piace. Tra questi il più sfacciatamente “abusivo” risulta essere Bruno Vespa che, quando pubblica un suo libro (il che gli capita ormai puntualmente una volta l’anno), fa il giro dei principali programmi di ogni rete televisiva, per assicurare allo stesso il massimo della propaganda. Il potere di costui è tale, che nessun conduttore osa “chiudergli”, come si suol dire, “la porta in faccia”. Succede così che la vendita dei libri di questi potentissimi giornalisti raggiunga quote così alte, che altri autori, in più di caso di gran lunga più bravi di loro, semplicemente se le sognano.

   La realtà dei fatti è purtroppo questa e, quando si parla di democrazia, libertà, pluralismo, pari opportunità, bisognerebbe rapportare questi grandi valori proprio ad essa. La concezione commercialistica della cultura, che non è nata certo ieri, porta ormai a far ritenere il libro come una merce uguale a qualsiasi altra, il cui volume di vendita risulta fortemente influenzato, non tanto dall’intrinseca qualità, quanto invece dalla pubblicità, la quale è fortissima quando si avvale del potentissimo mezzo della televisione.

      Ci sarà pure ovviamente l’opera del personaggio famoso dotata di grandi meriti scientifici o artistici, ma oggi più che in passato, per l’abuso del potere televisivo, capita sempre più frequentemente che passino del tutto inosservati tanti ottimi lavori, solo perché non favoriti né dal prestigio della Casa Editrice (trovando accoglienza, nella maggior parte dei casi, solo in semplici stamperie), né dalla notorietà già acquisita dell’autore, né tantomeno dalla pubblicità televisiva.

     Ci vengono in mente, a tal proposito, due notissimi “casi letterari” che hanno avuto come protagonisti scrittori della portata di Italo Svevo e Guido Morselli, i quali, dopo aver pubblicato a proprie spese le loro opere, per lo scarsissimo successo cui le stesse andarono incontro, patirono un desolante senso di scoraggiamento e di impotente amarezza. Molto probabilmente distorsioni nel mercato librario sono venuti a determinarsi fin dal momento della nascita della legge sul diritto d’autore, avvenuta, come è noto, all’indomani dell’unificazione politica italiana.

     A Svevo toccò assistere ad un insuccesso di pubblico dopo l’altro, così che fu indotto addirittura a lasciar perdere, come sta a dimostrare il lungo periodo di ben 25 anni che intercorre tra la pubblicazione del suo secondo romanzo Senilità e quella del capolavoro, La coscienza di Zeno. A Morselli accadde di doversi pubblicare a proprie spese ogni suo romanzo, pur dopo che curiosamente la sua prima opera, di carattere saggistico, Fede e critica, gli era stata pubblicata dal noto Editore Adelphi. Alquanto significativo è il fatto che quest’ultimo autore ai suoi difficilissimi rapporti con gli editori, che si protrassero fino alla morte avvenuta per suicidio, abbia dedicato un apposito pamphlet, “Rapporti con gli editori”, nel quale s’intrattiene sull’approssimativa, oltre che scorretta, etica professionale dominante nel mondo editoriale.

5 Commenti

  1. Un problema grande ed irrisolto, quello che tu affronti, caro Franco, e che non si può esaurire in un breve commento. Ma forse è anche un falso problema. Si scrive per tanti motivi: per il piacere di comunicare qualcosa, per il piacere di scrivere, per sentirsi vivi, a volte anche per orgoglio, qualche volta per fare soldi. Il successo, quando c’è, è benvenuto ovviamente; ma, se non c’è, non cambia di molto i termini del problema. D’altra parte Umberto Eco sosteneva che le librerie dovrebbero avere due ingressi: uno che conduce ai libri pubblicati a spese dell’editore, l’altro che conduce ai libri pubblicati a spese proprie. Che avesse un po’ di ragione?
    P. S. Ci siamo un po’ persi, ma l’importante è esserci.

  2. Problema complesso ed ancora irrisolto, caro Franco. Si può scrivere per tanti motivi: per comunicare, per il piacere di scrivere, per sentirsi vivi, per orgoglio, per fare soldi. Il successo, se c’è, è benvenuto; se non c’è, non cambia di molto i termini del problema. Eco diceva che le librerie dovrebbero avere due ingressi: uno per accedere ai libri stampati a spese dell’editore, l’altro per accedere ai libri stampati a spese dell’autore. Che avesse un po’ di ragione?

  3. Caro Franco hai pienamente ragione, e del tutto speculare a quanto da te affermato vi è il fenomeno degli scrittori improvvisati che alimentano il settore delle stamperie. Forse l’unica eccezione potrebbe essere il programma tenuto su Rai 3 da Augias Quante storie in cui mi è capitato di assistere alla presentazione di libri veramente interessanti scritti da autori di tutto rispetto.

  4. In effetti quello attuale non è posto neppure per gli Avevo ed i Morselli che, comunque, fama e riconoscimenti hanno ottenuto, seppur postumi. Quella di oggi è l’età del commercio, della promozione pelosa dei soliti raccomandati, che a volte vengono pubblicati veramente a sproposito e che, fortunatamente, vanno incontro a flop clamorosi. Molta quantità “garantita”, poca qualità.

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