La scrittura al centro della vita di Antonio Audia

      La prematura scomparsa di Antonio Audia ha preso alla sprovvista amici e conoscenti che, fino a pochi giorni prima dell’improvviso aggravarsi del suo stato di salute, hanno ignorato la dura e penosa battaglia da lui combattuta negli ultimi tre anni con la terribile malattia. C’è stata tanta dignità nella riservatezza con cui Antonio ha vissuto il proprio dramma; o forse invece è stata solo la speranza di poter avere comunque la meglio sul suo male.

      Per chi, come noi, ha avuto la ventura di stabilire con lui, in modo del tutto casuale, un intenso rapporto di amicizia, seppure limitatamente agli ultimi anni, s’impone quasi per una sorta di dovere morale, oltre che per un atto amichevole, la necessità di tracciare un primo bilancio sulla singolarità della sua esperienza di scrittore.

    Due risultano gli aspetti singolari della vicenda artistica di Audia: l’accostamento tardivo alla composizione letteraria e l’eccezionale intensità della sua scrittura creativa, giunta a comporre ventitré romanzi nell’arco di poco più di un decennio. Quella di Audia era diventata un’abitudine costante, che lo portò a non sospendere che per periodi molto brevi la propria attività di scrittore, per certi versi trasformatasi quasi in una sorta di ossessione frenetica e irresistibile. I compagni fedeli dei suoi momenti creativi sono stati, in tutti questi anni, il computer portatile e la quiete dei fine-settimana offertagli dal caro “rifugio” silano, dove all’amata scrittura affiancava piacevolmente lunghe passeggiate.

    La passione per la letteratura, esplosa in Antonio in età piuttosto avanzata, va considerata cosa quantomeno inconsueta, dal momento che la prassi ordinaria vuole che una simile passione affiori in età giovanile, ovvero nel periodo adolescenziale, e che successivamente il provetto scrittore o poeta abbandoni in un cassetto il proprio sogno letterario, di fronte alla difficoltà di trovare, tra gli editori che contano, uno disposto a scommettere sulla validità artistica del proprio lavoro. E poi – si sa – per un esordiente a corto di quattrini sobbarcarsi ripetutamente l’onere non modico della “pubblicazione a proprie spese” presso un qualsiasi stampatore risulta, se non impossibile, comunque molto gravoso. Il comportamento di Audia in ordine all’aspetto qui considerato si è rivelato, invece, oltre che in perfetta sintonia con l’enorme valore da lui attribuito a questa, seppur tardiva, dimensione del suo vivere, come la naturale conseguenza di ciò che si era ormai trasformato in una sorta di appuntamento col pubblico dei lettori scandalesi. Lo studio fotografico, da lui aperto in Scandale più di quarant’anni or sono, ha rappresentato, infatti, la vetrina dei suoi romanzi e, nel contempo, il luogo d’incontro con i suoi lettori, tanti dei quali abitualmente contattati durante il periodo estivo, quando, come è noto, i nostri paesi si riempiono di immigrati. Ma le vendite di una merce così poco dotata di valore commerciale come il libro non sono riuscite mai, nel caso di Antonio, a coprire la spesa affrontata per la pubblicazione di questo e di quel romanzo che, senza la grande passione letteraria, non avrebbero potuto quindi in alcun modo vedere la luce.

      La lunga fase che precede l’avvio dell’impegno letterario di Audia è caratterizzata, innanzitutto, da studi irregolari, tormentati e difficili: l’interruzione della frequenza del Liceo classico dopo i primi tre anni e il trasferimento alla Ragioneria da cui, dopo una sosta ancor più breve, fatta di due anni, va via senza aver conseguito il diploma. Di lì a poco segue l’emigrazione in Germania, dove si trattiene per quattordici lunghi anni. Quel che chiaramente s’intravede nel lunghissimo periodo precedente al 1996, anno di pubblicazione della sua prima opera, Biografia di un maestro, è l’intensa vivacità del suo interesse per la lettura in genere e, più particolarmente, per la narrativa letteraria. Antonio, già dal periodo liceale, come sta a testimoniare più di uno scritto inedito di quell’epoca, si sente fortemente attratto dalla scrittura creativa. Gli stimoli potenti ricevuti in tal senso dall’accostamento alle letterature antiche del severo liceo di un tempo devono aver prodotto un effetto notevole sul sensibilissimo animo del giovane Antonio, visto che dopo anni si sarebbe scoperto tenace ed assiduo scrittore di romanzi. L’ultimo dei quali, Le lacrime di Rosaria, è stato pubblicato nel novembre del 2009, cioè a poca distanza dalla morte.

      Il relativamente breve percorso letterario di Audia, così fittamente ricco di opere, consente di cogliere facilmente i tratti salienti della sua arte narrativa e di misurarne il valore artistico. Ma, prima di addentrarci in questo ordine di analisi, va precisato che la tipologia nella quale è possibile far rientrare il romanzo audiano è quella della cosiddetta “letteratura di massa”, ovvero di “consumo”, in cui gli elementi di contenuto e di forma (temi, personaggi, moduli narrativi, lingua, stilemi) perdono d’intensità e di tensione, banalizzandosi. Si tratta, in altre parole, di un romanzo caratterizzato dalla brevità (Audia stesso li definisce “romanzetti”, riferendosi probabilmente, oltre che alla loro ridotta estensione, alla loro scarsa pretesa) e dalla prevalenza del momento propriamente narrativo su quello descrittivo. Il romanzo di Audia, com’è tipico dei narratori cosiddetti “amatoriali”, è cioè tutto incentrato sull’episodio nudo e crudo, nel senso che le sequenze lirico-descrittive e quelle riflessive risultano ridotte al minimo indispensabile.

       Questo modo di narrare si attaglia alla perfezione a quella tipologia di lettore che, nell’epoca dominata dalle televisioni, si presenta senza grandi pretese, mira al sodo e anzi troverebbe a sé poco congeniale un esemplare della narrativa cosiddetta “alta”, ovvero di stampo tradizionale, dotata cioè di una forte connotazione retorico-letteraria e di ampie sezioni non strettamente finalizzate alla vicenda in sé e per sé. Lungi, dunque, da Antonio l’ambizione di dare vita a romanzi ad alto tasso di elaborazione tecnico-letteraria, da sottoporre eventualmente al vaglio di sofisticati ed esigenti consulenti di grandi editrici nazionali. La consapevolezza della modestia del proprio prodotto narrativo ha, tutt’al più, indotto Antonio a partecipare a qualcuno dei tanti concorsi letterari indetti dalle molteplici associazioni culturali locali.

      Un punto di forza della tecnica narrativa di Audia è costituito dalla cura da lui ampiamente riservata all’incipit dei suoi romanzi: si tratta del classico incipit ad effetto, volto ad avvincere il più possibile il lettore, proteso com’è, senza mezzi termini, a calarlo nel vivo della vicenda. E nel romanzo di Audia a dominare sono soprattutto i dialoghi, che ne costituiscono la parte più vivace e piacevole. Si comprende abbastanza facilmente che la dimensione in cui l’Autore si trova più a suo agio è proprio quella dei dialoghi.

     Alla base dell’ispirazione di Audia, stando a quanto da lui stesso dichiarato nel corso di una breve intervista di qualche anno fa, c’è sempre un intento polemico nei confronti degli aspetti e dei fenomeni socialmente e moralmente saliti via via alla ribalta della cronaca (“scrivo per sfogarmi perché vedo cose che non mi piacciono”). A risentire di questa tanto immediata quanto fugace ispirazione è più di tutto l’imbastitura della trama: la sua estrema semplificazione e l’esilità del tessuto narrativo ne sono gli effetti più evidenti.

      Tuttavia, sempre riguardo alla genesi dei suoi romanzi, Audia confessa, nella stessa intervista, di procedere ad un preliminare lavoro di ricerca: “mi informo, mi piace interrogare, rendermi conto, immedesimarmi; mi metto nei panni di un dodicenne o di un ottantenne cercando di capire il mondo dal loro punto di vista”. Leggendo le sue storie, si capisce che Antonio è stato tutt’altro che un osservatore superficiale e disattento della realtà, come del resto è attestato anche dai “termini di moda o tecnologici” da lui correttamente impiegati.

     Sempre dallo stesso punto di vista, quello di Audia si potrebbe definire “romanzo a tesi”, tant’è che, pur di avvalorare un suo modo di pensare e/o di vedere, incorre in qualche forzatura, come in Bulli in fuga dove, intervenendo sul fenomeno del bullismo nella fase in cui, come di tanto in tanto suole accadere, le cronache relative allo stesso si fanno più frequenti del solito, attribuisce detto aspetto, non già a determinate e ristrette frange, ma all’intero mondo giovanile.

      Va da sé che col tempo Audia ha via via acquistato una sempre maggiore scioltezza nel tessere intrecci e nel costruire trame dallo sviluppo sempre meno prevedibile e strutturalmente più ricche e fantasiose. Si pensi a questo proposito a Marbar 1713, caratterizzato da una vicenda alquanto movimentata, in cui la tanto triste quanto inattesa fine del personaggio Benito prende il lettore alla sprovvista. Una novità di rilievo che si coglie negli ultimi lavori rispetto ai primi è la suddivisione in capitoli che, di fatto, ha obbligato Antonio ad architettare una quanto più efficace suddivisione   delle proprie trame in macrosequenze.

     A guadagnarne di più della maturazione artistica delle ultime prove sono stati soprattutto i dialoghi e il linguaggio. I dialoghi, che nei primi romanzi risultavano spesso molto lunghi, stucchevoli e, per certi versi, inverosimili, nel senso che non collimavano perfettamente con la psicologia del personaggio, hanno col tempo acquistato sobrietà, scioltezza e maggiore credibilità. Lo stesso dicasi del linguaggio, che nei primi lavori soffriva di troppa ridondanza espressiva, di un’enfasi piuttosto marcata e di un eccesso di edulcorazione sentimentale, e che nelle ultime prove si è fatto più lineare, più controllato nella punteggiatura e più preciso ed appropriato nella sintassi e nel lessico.

     Anche la caratterizzazione del personaggio ne ha guadagnato col tempo, nel senso che quelli degli ultimi romanzi, come – tanto per fare un esempio – Le lacrime di Rosaria, appaiono meglio delineati e più credibili, oltre che dotati di uno spessore e di una caratterizzazione oggettivamente superiori. Ne I due cugini, per fare un esempio di segno opposto, si nota invece una palese discrepanza nel personaggio Titino, a motivo della sua confessione intervenuta tardivamente e in un momento quanto mai inopportuno.

      Quanto alla visione della vita che traspare dalla narrativa di Audia, si può affermare che essa risulta generalmente improntata ad un cupo pessimismo, mentre l’immagine della Calabria appare un po’ stantia e ormai di vecchio stampo, nel senso che trova scarso riscontro nella realtà che è sotto gli occhi di tutti. Audia, com’è generalmente tipico dei calabresi abbastanza avanti con gli anni, era fortemente attaccato a quell’idea della calabresità fatta di stereotipi logori che, in un mondo sempre più dominato dalla globalizzazione e influenzato dalle televisioni e da internet, non trovano più alcun riscontro specie nelle nuove generazioni.

      Di sicuro a Scandale sarà per un lunghissimo tempo sentita la sua mancanza, specie da parte di coloro che, da lettori affezionati alla sua narrativa, attendevano l’uscita del suo ultimo romanzo, per immergersi in una nuova ed avvincente avventura. Mancherà non poco la sua bella persona, così ricca di umanità e di autentica gentilezza d’animo, in quello studio fotografico, dove tanti s’intrattenevano con lui in piacevolissime ed interessanti conversazioni.

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