Perchè viene votato questo o quel partito politico

    E’ da sempre, si sa, che la politica interessa a pochi, vuoi perché i più la trovano complicata e non facilmente comprensibile, oltre che orribilmente noiosa; vuoi perché, non essendosene mai occupati, tanti ignorano come essa funzioni e, oltretutto, non saprebbero riconoscere che qualche suo sparuto protagonista; vuoi perché molti, specie tra i giovani, si sentono attratti da tutt’altro, come è accaduto del resto anche in altri periodi, come quello post-sessantottesco, in cui s’immagina invece che le cose andassero diversamente. Va da sé, tuttavia, che l’insorgere dell’interesse per la politica presuppone che sia avvertito un minimo di senso civico e che sia posseduto un certo grado d’informazione riguardo a quanto quotidianamente accade nello scenario politico nazionale, internazionale e locale. Relativamente ai giovani, va detto che a spingerli a scoprire l’importanza della politica per la loro formazione civica e culturale possono essere gli stimoli derivanti in tal senso dall’ambiente familiare, da quello scolastico e dal cosiddetto gruppo dei pari; mancando i quali, risulta molto improbabile che scatti una qualche seduzione da parte della politica.

      Ma la verità è che il disinteresse per la politica risulta trasversale ad ogni ceto sociale, ad ogni generazione e ad ogni livello culturale. È infatti vero, da un lato, che solo chi, per un’abitudine ormai consolidata, segue, giorno dopo giorno, i fatti della politica si pone nelle condizioni più favorevoli per nutrire un sempre maggiore interesse per la stessa; così come è vero, dall’altro, che nessun gruppo sociale o generazionale si può a priori considerare rigidamente refrattario alla politica o viceversa più propenso verso di essa.

     Ben diversa è la situazione di chi, per essere caduto nella più assoluta sfiducia, pur non venendo meno al diritto-dovere d’informarsi, è giunto alla determinazione – non importa quanto consapevolmente o meno – di astenersi ormai dal voto, preferendo esprimere così il proprio netto dissenso nei confronti di ogni forza politica. Il fenomeno dell’astensionismo – in crescente espansione, come si è potuto accertare anche nelle recenti elezioni politiche francesi ed in quelle amministrative del nostro Paese – è divenuto negli ultimi tempi così accentuato ed appariscente, che dovrebbe preoccupare non poco la classe politica e chiunque abbia a cuore la sorte della democrazia nel continente europeo.

     Se questo è il rapporto che viene comunemente a stabilirsi tra il cittadino e la politica, non sarà certamente un’operazione semplice riuscire a comprendere quali ragioni possano nascondersi dietro al voto elettorale, ovvero quali possano essere i percorsi attraverso cui si forma l’orientamento politico degli elettori. Una prima forma di orientamento è quella che viene a determinarsi in seno alla famiglia, in cui ad influire è per lo più il membro maggiormente politicizzato, al quale normalmente si uniformano senza tante difficoltà gli altri componenti; a meno che non venga a costituirsi la classica contrapposizione psico-ideologica tra padre e figlio, tipica del periodo adolescenziale. Ma, se in una delle molteplici liste delle elezioni amministrative della propria città risulta presente un parente, o un cosiddetto amico di famiglia, diventa quasi obbligatorio votarlo, indipendentemente dal fatto che possa non piacere la sua collocazione politica. E, a tal proposito, va preso atto del fatto che l’elevato numero di liste costituisce una sorta di limitazione della libertà di voto, nel senso che, specie nei piccoli centri, si è costretti a basare la scelta del candidato su qualcosa che non ha niente a che vedere con le effettive qualità di futuro amministratore del candidato prescelto, né tantomeno con le ragioni ideologico-programmatiche del partito o della coalizione di appartenenza dello stesso.

       In altre epoche, nelle quali si respirava un’atmosfera del tutto diversa dal punto di vista politico e in cui quasi tutti i partiti possedevano un’identità ideologica ben distinta l’una dall’altra, la quale non era certo circoscritta, come accade oggi, ad una o a due parole d’ordine, tipo migrazione, euro sì/euro no, ecc., alla politica ci si rapportava generalmente con appassionata partecipazione. Oltretutto la società stessa lasciava facilmente cogliere al proprio interno le sue componenti principali, che erano costituite dagli operai e dai contadini, da un lato, dagli industriali che più semplicemente venivano chiamati padroni e dal ceto dei professionisti, dall’altro, a differenza di oggi in cui la società si è fatta magmatica, liquida e molto più complessa. I partiti che, nell’era delle grandi ideologie, non s’identificavano ancora con un leader risultavano capaci d’infiammare i cuori, riuscendo ad attrarre alla politica anche le persone più modeste sotto il profilo sociale e culturale. Era l’epoca dei comizi nelle piazze e delle vivaci assemblee di partito e non si poteva non essere schierati con l’una o con l’altra parte. I più grossi partiti di quell’epoca, che il grande poeta Montale definiva giustamente “chiesa” (la DC) o “officina” (il PCI), spargevano intorno a sé un grande “lume”, non solo perché a livello ideologico si arrogavano la pretesa di seminare verità indiscusse, ma perché i loro proseliti si approcciavano ad essi con atteggiamento mistico come dei fedeli religiosi appunto.

    Oggi, in cui tante cose sono cambiate, la politica si è spostata dalle piazze vere a quelle virtuali dei social network, dove il più delle volte il dialogo si svolge a colpi di insulti e di bufale, e non riflette più una visione complessiva della società, ma si limita ad una difesa spicciola di questo o di quel personaggio della politica o di una semplice parola d’ordine. L’altro luogo nel quale, al giorno d’oggi, si è spostato il discorso politico è rappresentato dalle tante televisioni, specie di quelle che, come la LA7, ha basato tutto il proprio palinsesto sul talk show, al quale bisogna ascrivere, quasi interamente, i due più profondi cambiamenti intervenuti in campo politico negli ultimi decenni. Il primo ed importante cambiamento va considerato la personalizzazione della politica, ovvero il fatto che l’identità di un partito politico finisce col coincidere, non già con una determinata rappresentatività sociale, o con una precisa serie di valori, o con un particolare tipo di programma, ma con le caratteristiche personali del suo leader. Vedere ed ascoltare quasi quotidianamente in televisione il leader ha come inevitabile risultato quello di far contare la persona di questi che ne è il Segretario, o il Capo indiscusso o il proprietario, più che il suo Partito. Se poi il politico che va in televisione è anche simpatico, è giovane, ha un bel fisico e sa dire alla gente proprio ciò che questa si aspetta egli dica, il gioco è fatto: statene certi, tanti lo voteranno proprio per queste ragioni. Non è qui il caso di fare dei nomi; ma non sarà comunque difficile identificare i personaggi politici che devono tutto proprio al fatto che sono stati e continuano ad essere sempre presenti in televisione.  Un fenomeno questo, che è ormai sotto gli occhi di tutti e che ha finito col contagiare persino il M5S che avrebbe dovuto, per la faccenda dell’uno vale uno, restarne del tutto immune. E, anche se i pentastellati affermano che il loro premier lo dovrà scegliere la Rete, esso di fatto risulta già scelto dal consenso ampio che lo stesso è riuscito a guadagnarsi attraverso le numerosissime ospitate televisive.

          Un altro importante cambiamento che è venuto a determinarsi in politica per effetto della televisione e del web è che oggi la campagna elettorale si svolge nei talk show e sui social network, fermo restando che il leader più noto normalmente affianca comunque alle ospitate televisive e all’intervento quasi quotidiano su twitter o su facebook l’incontro ravvicinato con gli elettori nelle sale teatrali o cinematografiche delle principali città, dove il pubblico accorre numeroso per l’irresistibile curiosità di vederlo da vicino e in carne ed ossa; che è in fondo la stessa ragione per la quale si va allo spettacolo di un personaggio famoso, sia esso un attore, un cantante, o altro. Il M5S, divenuto ormai massimamente consapevole della potenza persuasiva del mezzo televisivo, è arrivato addirittura a dettare esso stesso le condizioni per consentire ai vari Di Maio e Di Battista di partecipare ad un talk show: non dover affrontare alcun contraddittorio con esponenti dei partiti avversari; poter fare il solito monologo senza alcuna interruzione; e dover rispondere solo a domande di qualche giornalista, nella quasi generalità dei casi, compiacente e benevolo nei loro confronti. Qualche altro politico navigato, come Berlusconi, va invece esplicitamente dichiarando ormai da tempo che, quando vuole risollevare le sorti del suo partito, gli basta fare un bel giretto presso tutte le televisioni, sia quelle di sua proprietà che le altre, così che puntualmente ottiene il risultato desiderato.

      Indubbiamente riesce a mettersi in contatto con il grosso dell’odierno pubblico non tanto il web, quanto la televisione. Se poi si tiene conto del fatto che nel nostro Paese risulta alquanto ridotto il numero di coloro che leggono un giornale, si può allora facilmente comprendere che ad orientare il voto della maggior parte degli elettori (che ammonterebbe al 75%) risulta essenzialmente la televisione, la quale, martellando di continuo gli spettatori su questioni scottanti, come quella dei migranti, della sicurezza e della povertà, ed alimentando sulle stesse un sentimento di paura e di sfiducia, di fatto determina orientamenti politico-elettorali tali, da influire fortemente sull’esito di queste o di quelle elezioni. Se poi si pensa che nel campo dei media è venuta ormai da tempo a crearsi una situazione, a dir poco, squilibrata e preoccupante, a motivo del fatto che non poche testate giornalistiche, sia televisive che di carta stampata, sono nelle mani, oltre che di uno dei maggiori protagonisti della scena politica, di grossi gruppi imprenditoriali privati, si capisce bene che l’orientamento elettorale di ampi strati dell’opinione pubblica risponde a ragioni e a logiche, che niente hanno a che vedere con la cosiddetta libertà di opinione e di voto. Per questo è fondamentale favorire in ogni modo e con ogni mezzo – e quale mezzo risulta migliore di quello della scuola pubblica! –  la crescita culturale dei futuri cittadini e lo sviluppo negli stessi di un quanto più elevato senso civico, se si vuole per davvero rendere libera e quanto più consapevole la scelta del voto.

1 Commento

  1. Caro Franco la piccola politica dei giorni nostri è figlia da una parte della sconfitta sociale della classe lavoratrice, dall’altra della scomparsa delle sorgenti ideologiche, anch’essere prosciugate da quaranta anni di asservimento alle logiche dell’economia

Leave a Reply

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*