Ideologia e prassi politica del M5S

     La più grande novità intervenuta nel panorama politico degli ultimi anni è, senza dubbio, rappresentata dal M5S, sia per il modo molto singolare col quale detta forza, nata nelle piazze e sulla Rete, si è rapidamente affermata – è passata, infatti,  nelle elezioni politiche del 2013, da zero  a quasi 9 milioni di voti – , sia per essere stata creata da un personaggio dello spettacolo e da un tecnico-imprenditore del web, sia per aver portato in Parlamento 163 giovani e meno giovani del tutto sconosciuti, non provenendo  nessuno di essi da alcuna nomenclatura dei cosiddetti partiti tradizionali e trattandosi, nella maggior parte dei casi,  di persone del tutto prive di esperienza politica.

     La comparsa del M5S sullo scenario politico ha creato non pochi sconquassi e squilibri nei cosiddetti partiti tradizionali, che si sono trovati del tutto spiazzati di fronte alla radicale contestazione mossa da siffatto Movimento nei loro confronti. Le difficoltà maggiori – e di ciò c’è poco da stupirsi – sono state accusate non tanto dallo schieramento del Centrodestra, quanto dal PD, il quale si è visto rivolgere accuse d’immoralità, oggettivamente più vergognosamente intollerabili da parte di un partito che della propria verginità morale aveva da sempre fatto la ragione principale della sua diversità.

     Uno dei più grandi meriti che è da tutti riconosciuto al M5S è costituito dal fatto che, fin dall’inizio, il suo cavallo di battaglia è stato quello della lotta contro i tanti assurdi ed intollerabili privilegi, di cui da sempre ha goduto e continua a godere la classe politica nel nostro Paese, senza che mai qualcuno, neppure del fronte della Sinistra, abbia mai abbozzato alcun tentativo di autocritica in proposito. Tra le proposte più efficaci e risolutive avanzate dal M5S contro i privilegi della politica sono da annoverarsi quelle dell’eliminazione dei vitalizi, il divieto per i parlamentari di esercitare un’altra professione durante il mandato, l’incumulabilità delle cariche, come ad esempio quelle di deputato e di sindaco, e la non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati, ecc. Tutte proposte che si sono subito incrociate col pieno ed entusiastico favore della gran parte dei cittadini, che non aspettavano altro che di vedere finalmente posti sotto accusa e successivamente eliminati i privilegi dei politici di ciascun livello istituzionale.

       L’altra meritevole battaglia combattuta dal M5S è quella contro la corruzione politica.  Uno dei principali caposaldi su cui, infatti, si regge l’impalcatura ideologica del M5S è costituito dalla convinzione – o, per meglio dire, dalla sua assoluta certezza – secondo la quale la classe politica del nostro Paese non è altro che una casta di corrotti, essendo, da un lato, alquanto elevato il numero dei parlamentari inquisiti e non essendo in atto, dall’altro, all’interno dei vari notabili di questo o di quel partito alcuna forma di ricambio, dal momento che altrettanto elevato risulta il numero dei parlamentari che hanno ormai varcato la soglia del quarto, quinto o addirittura settimo mandato, e qui ci asteniamo dal fare nomi, per l’imbarazzo di chi scegliere sia nell’uno che nell’altro schieramento politico. Persino in un partito come il vecchio P.C.I non è mai stato seriamente messo in discussione il numero dei mandati, per stabilire, come ha fatto fin dall’inizio il M5S, un limite al numero degli stessi.

     Non si può, tuttavia, non rilevare in siffatta opinione o comportamento, che dir si voglia, del M5S un eccesso di severità, a voler usare un eufemismo, nel senso che assemblare nell’unico calderone della corruzione tutte le forze politiche della Seconda Repubblica e non voler, per partito preso, operare alcun distinguo tra l’una e l’altra, si configura oggettivamente come un atteggiamento decisamente talebano. Trattandosi oltretutto di persone, come si può, con tono apodittico ed assertorio, affermare che esse sono tutte uguali l’una all’altra?  Una conseguenza di carattere pratico che deriva da detto comportamento consiste nella sistematica demonizzazione dell’avversario, presentato come “negativo a prescindere” e puntualmente fatto oggetto di critiche feroci, perlopiù, del tutto destituite di alcun fondamento ed elaborate ad hoc in modo massimalistico, arruffone e menzognero. Un clamoroso esempio di tal genere si è colto nel corso della recente campagna referendaria, quando Grillo è arrivato ad affermare, senza alcun pudore, che in Italia si vive sotto una dittatura pari a quella drammaticamente conosciuta dai poveri Cileni sotto Pinochet.

  L’altra importante ed inevitabile conseguenza del comportamento di cui sopra è costituita dal categorico rifiuto, da parte del M5S, di accettare qualunque tipo di alleanza con altre forze politiche, sia a livello di azione governativa che di opposizione. Se l’avversario non esprime alcunché di positivo e se qualunque suo atto è, di prassi, giudicato, in modo assolutamente pregiudizievole, come sempre imperfetto o, comunque, ispirato da fini che non coincidono affatto con quelli ufficialmente dichiarati, è giocoforza non accettare alcuna forma di collaborazione con lo stesso e, tantomeno, col Governo in carica, ogni iniziativa del quale è respinta a priori, in quanto ritenuta manchevole in uno o più aspetti.  Insomma, il tasso di sfiducia col quale normalmente il M5S giudica l’altro da sé è tale, che esso non è disposto ad approvare, salvo rari casi, nient’altro che provvedimenti o disegni di legge, frutto solo della propria azione propositiva.

     Altro caposaldo ideologico del M5S è rappresentato da quella che essi chiamano la democrazia partecipata, ritenendo i suoi fondatori che la vera democrazia sia quella che si esercita direttamente attraverso il web senza l’intermediazione dei politici di professione, ovvero dei cosiddetti “volponi”. Nel M5S non ci sono, o meglio non devono esserci, politici che, come accade in altre forze politiche, valgano più degli altri. A render più chiaro che mai il loro pensiero in proposito è il motto: “uno vale uno”. Guai a pensare che un penta stellato possa essere considerato insostituibile nel tempo, che cioè non si possa fare a meno di lui. Se la si pensasse in questo modo, si cadrebbe inevitabilmente, secondo i loro canoni di giudizio, nel carrierismo politico, ovvero nell’andreottismo e nelle solite nomenclature senza fine. Come si può negare la validità e la solidità di questi principi? Serie difficoltà emergono, tuttavia, nel momento in cui si prova a calare detti principi nella realtà.

     È innegabile che la democrazia partecipata del M5S, di fatto, si traduce nella partecipazione di 130 mila persone, che corrispondono agli iscritti alla cosiddetta “piattaforma di Rousseau” e che, se vengono confrontati col numero complessivo dei milioni di votanti, o degli stessi 9 milioni di elettori dei penta stellati, risultano oggettivamente ben poca cosa. Orbene, sono queste 130 mila persone che con il loro voto scelgono i candidati delle Parlamentarie e degli altri organismi istituzionali e che decidono sul Non-Statuto e su questioni tecnicamente delicate e complesse, come Legge elettorale e Riforma costituzionale, ecc. Non c’è quindi da stupirsi, se su un tema importantissimo, come ad esempio la legge elettorale, dal voto della piattaforma Rousseau il M5S sia stato spinto ad attestarsi su una posizione tutt’altro che avveniristica, ma nostalgicamente passatista, dal momento che, come è stato notato da più parti, il Democratellum, cioè la legge elettorale da esso proposta e che prevede un sistema proporzionale con voti di preferenza, anche negativa, non solo avrebbe significato, se fosse stato approvato in Parlamento, un incomprensibile ed anacronistico ritorno ai primi 45 anni della Prima Repubblica, ma avrebbe anche comportato l’obbligo inevitabile di allearsi con altre forze politiche; il che per un Movimento come quello dei 5 Stelle sarebbe equivalso ad un vero e proprio suicidio politico, considerato che esso non si allea che con se stesso.

       Relativamente al tema della democrazia nel M5S, non si può fare a meno di spendere qualche parola sui fuoriusciti e sugli espulsi dai suoi gruppi parlamentari di Camera e Senato, che non sono pochi tra i 143 parlamentari ed europarlamentari 5 Stelle, visto che ammontano complessivamente a 37 unità. Ma l’espulsione ha colpito e continua a colpire anche rappresentanti degli altri livelli istituzionali, come l’ottimo sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, che non pochi cittadini si augurerebbero amministrasse il proprio Comune e la cui espulsione è stata crudelmente preceduta da una sorta di tortura psico-politica. Insomma, ci vuole poco a capire che il M5S soffre di un palese e sostanzioso deficit di libertà e di democrazia. Si provi a domandarsi, a tal proposito, quanta vita potrebbe avere nel M5S un dissenso durissimo e al limite dello scontro frontale, qual è quello che si sta da mesi consumando all’interno del PD da parte degli esponenti della cosiddetta Minoranza.

    Anche quello della trasparenza, alla prova dei fatti, si è rivelato nient’altro che un mito, ovvero un dogma privo di un suo reale corrispettivo, visto che i momenti dialettici più o meno acuti della vita politica del M5S si svolgono sempre nel chiuso di quattro mura. Eppure, piacerebbe non poco poter vedere quanti sono i penta stellati che, in un loro dibattito a porte chiuse, abbiano la dignità e il coraggio morale di dissentire dalla linea espressa dal gran capo Grillo. Ma, anche quando il dissenso espresso dalla base è risultato ampio, come nel caso della votazione della legge dello “ius soli”, alla fine è prevalsa la volontà dei guru che, piuttosto che badare a questioni di principio e di giustizia, si sono preoccupati degli effetti disastrosi, dal punto di vista elettorale, dell’approvazione o meno di una norma come quella or ora ricordata, che risulta oltretutto essere legata allo scottante e controverso tema dell’immigrazione. E, d’altra parte, il M5S, non dichiarandosi né di Destra, né di Centro, né di Sinistra, è assolutamente libero di assumere qualunque posizione, senza tema di essere tacciato d’incoerenza. Infatti, uno dei maggiori punti di forza del M5S, al quale si deve l’ampio consenso ottenuto in così poco tempo, è costituito proprio dal suo anti-ideologismo, ovvero dal fatto che, non essendo ideologicamente inquadrabile, può comodamente raccogliere la rabbia e lo scontento delle persone di qualunque colore politico, davvero tante specie tra i giovani, che si trovano a vivere situazioni di profondo malessere.

     Quanto al motto dell’uno vale uno, occorre ricordare che inizialmente i due fondatori del M5S furono assolutamente contrari a far partecipare i propri parlamentari ai tanti talk show televisivi, intravedendo meno vantaggi e più rischi, come quello che si riferisce al fatto che gli stessi, perlopiù giovani e assolutamente impreparati a far fronte alle dinamiche proprie di tale tipo di trasmissione, potessero uscirne malconci sia dall’interrogatorio dei conduttori, perfidi e notoriamente schierati con la posizione politica del proprio editore, sia dal confronto con gli esponenti politici delle altre forze, solitamente più navigati e ben allenati a siffatti programmi televisivi. Successivamente, tuttavia, muovendo dall’innegabile presupposto che il consenso, ai giorni nostri, dipende in larga parte proprio dall’esposizione televisiva, fu dato il via libera a detta partecipazione dei penta stellati, così che “l’uno vale uno” ha dovuto fare i conti con la notorietà e la simpatia ampiamente tributate dal pubblico televisivo all’uno piuttosto che all’altro. E così sono nati, com’era inevitabile che accadesse, i vari Di Battista e Di Maio, che di fatto non valgono più quanto gli altri “uno”, perché, grazie alle loro affinatissime abilità comunicative, si sono visti abilitati addirittura alla candidatura a premier. Di qui sono derivati il diffondersi del dissenso e del malcontento in seno al M5S e le laceranti divisioni interne che, benché ostinatamente negate, costituiscono ormai una realtà difficilmente occultabile, come dimostra chiaramente la nota vicenda romana, nella quale i penta stellati lo sanno bene di giocarsi davvero tutto.

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