Fare il genitore

Sui genitori dei giorni nostri si sono scritti decine e decine di articoli e, a tutt’oggi, si tengono corsi di formazione, per lo più organizzati da Associazioni di orientamento cattolico. Se l’argomento è sentito ormai da tempo come importante, la ragione principale va individuata nel fatto che in nessun’altra epoca si è, in materia, andati incontro a tanto disorientamento e a tanta confusione come oggi, in cui si è quotidianamente bombardati da messaggi tra i più disparati e contraddittori da parte sia dei new media che dei media tradizionali. I più interessati all’argomento dovrebbero, ovviamente, essere gli educatori, considerato che proprio dalla qualità formativa dei genitori discende in larga parte il successo scolastico dei figli.

Nello svolgere il ruolo di genitore, si procede per lo più a lume di naso o per istinto, basandosi sull’esperienza di coloro che, come il proprio padre e la propria madre, si sono potuti osservare direttamente, anche se molteplici e profondi risultano ormai i cambiamenti intervenuti col passare del tempo. Secondo il sentire oggi più condiviso, quello del genitore viene considerato il “mestiere” più difficile al mondo, anche se non manca chi lo interpreta in modo semplicistico, banalizzandone di fatto il ruolo. Va da sé che a fare il genitore non s’impara certo né attraverso la lettura di un apposito manuale, né tantomeno osservando le modalità educative messe in atto da questa o da quell’altra famiglia.  La verità è che nello svolgimento del ruolo genitoriale ciascuno impegna le proprie risorse di umanità, di cultura e di sensibilità; la qualcosa tuttavia non vuol dire che non possa essere un buon genitore una persona incolta e priva di alcun titolo di studio. Spesso accade proprio il contrario, nel senso che una persona laureata, o un noto ed apprezzato professionista può rivelarsi un genitore inadeguato sotto diversi punti di vista. Ci viene in mente l’amaro sfogo della figlia di un famosissimo personaggio dello spettacolo, la quale, anni addietro, denunciava l’enorme vuoto in cui, durante la sua adolescenza, l’aveva lasciata il padre, sempre assente, attaccatissimo all’intramontabilità del proprio mito e preoccupato solo che l’ammirazione dei propri fans non diminuisse neppure di un millimetro.

Si dà il caso che un ottimo genitore si possa rivelare nei fatti una persona apparentemente insignificante e in tutti i sensi modestissima. Nulla di più facile, insomma, che il genitore migliore coincida con un analfabeta, come è accaduto a chi scrive, l’esempio della saggezza e della moralità dei cui genitori conserva indelebile dentro di sé. Perché mai le qualità genitoriali possano, in un certo senso, prescindere dal livello culturale e sociale, lo si deve essenzialmente al fatto indubitabile che ad importare più di tutto nella gestione del ruolo genitoriale sono il buon senso, la rettitudine di vita e la naturalezza del comportamento. L’esemplarità dei genitori di norma risulta dimostrata da una serie di fattori tanto semplici, quanto efficaci, come il profondo rispetto e l’affetto non comune che padre e madre si rivolgono reciprocamente; la costumatezza dei comportamenti e del linguaggio dagli stessi adottati; il senso di onestà che traspare con assoluta evidenza da ogni loro azione e ragionamento; l’equità e il senso di giustizia da cui risultano ispirati giudizi ed atti nei confronti altrui ed, infine, il clima di dialogo, di armonia e di serenità instaurato nella vita familiare. Sono, in fondo, queste le caratteristiche che rendono il ruolo della famiglia così decisivo e fondamentale nella formazione del soggetto educando. Chi, come noi, nel corso di una lunghissima esperienza scolastica, si è trovato a rapportare innumerevoli fisionomie di figli a quelle dei rispettivi genitori, sa bene quanto l’una trovi perfettamente conferma nell’altra, in più di un caso riuscendo così a trovare una qualche motivazione riguardo alla specificità della tipologia umana, morale e psicologica dei suoi vari studenti.

A voler generalizzare, due risultano gli atteggiamenti attualmente più diffusi tra i genitori. Da una parte ci sono coloro che, rinunciando quasi completamente alla propria autorità genitoriale, hanno scelto di assumere un atteggiamento del tutto accondiscendente e iperprotettivo, non tanto per il desiderio di offrire così un’ulteriore manifestazione del proprio affetto, quanto per il timore di generare nel figlio, con l’eventuale comportamento opposto, una situazione di disagio e di malessere, tale da renderlo preda di uno dei più gravi pericoli oggi incombenti sulle nuove generazioni, come quello della tossicodipendenza, dell’anoressia/bulimia, o della totale chiusura in se stessi. La diffusione di detto atteggiamento si deve essenzialmente al fatto che lo stesso va sempre più trasformandosi in un vero e proprio costume sociale e che, pertanto, tra le famiglie odierne è da tempo in atto la tendenza ad uniformare il ruolo genitoriale al cosiddetto permissivismo oggi tanto in voga e che non pochi danni continua a causare tra le generazioni giovanili. Sul fronte opposto ci sono i genitori – non molti, a dir la verità – che hanno sposato la filosofia della bieca severità, i cui danni a livello educativo non sono da meno rispetto a quelli appena ricordati.

Non si tratta di scegliere tra l’una e l’altra posizione estrema; la scelta migliore resta pur sempre quella meno emotiva, o istintiva possibile, ovvero quella che, dettata dal buon senso e dalla ragionevolezza, suggerisce di privilegiare nel rapporto genitori-figli, innanzitutto, la via del dialogo, attraverso il quale i NO, a cui di tanto in tanto si è inevitabilmente costretti a ricorrere per far crescere bene i propri figli, possano non apparire come qualcosa di pregiudizialmente, o immotivatamente, o crudelmente impositivi, ma come un’improrogabile necessità di quella regola basilare dalla quale da sempre risulta governata la “dialettica del dovere e del piacere”, a cui devono soggiacere tanto  i giovanissimi, quanto  gli adulti. L’uomo, durante tutto il corso della vita, ha a che fare con dei NO, nel senso che è continuamente chiamato a scegliere tra opzioni possibili/impossibili, o giuste/ingiuste, buone/cattive e non sempre la coscienza gli consente di realizzare l’opzione che più gli piace.

Occorre, poi, tener presente una verità tanto evidente, quanto purtroppo oggi spesso disconosciuta: i figli dai genitori si aspettano che essi non facciano gli amici, ma i genitori. Dialogare con essi non significa snaturare il ruolo genitoriale, né tantomeno abdicare alle fondamentali funzioni che sono inevitabilmente connesse a detto ruolo, a cominciare dalla funzione di tutoraggio, così essenziale per la crescita del figlio nel periodo pre-adolescenziale e nella prima fase adolescenziale. I genitori devono fungere da buone guide dei propri figli, saperli gradualmente mettere di fronte alle loro responsabilità, aiutarli a costruire i loro progetti di vita i quali, piuttosto che aderire alle aspettative o alle ambizioni genitoriali, devono essere quanto più rispondenti ai sogni e alle effettive capacità dei figli, e rendere questi consapevoli delle conseguenze delle loro più importanti scelte di vita. Vi sono compiti educativi che i genitori non possono delegare alla scuola, in quanto gli operatori di questa, in più di un caso, non sono all’altezza di adempierli, per una serie di ragioni che qui sarebbe lungo spiegare.  La scuola è quel luogo nel quale i ragazzi non solo imparano Pirandello, o Aristotele, ma dove s’incontrano, allacciano amicizie che durano tutta la vita, s’innamorano e fanno tante altre cose che non sono certo contemplate né nei curricula scolastici, né divengono, se non raramente, argomenti delle discussioni che si svolgono in famiglia.

Un altro errore dei genitori è quello da essi commesso a proposito dell’attribuzione dei premi e dei castighi. Occorre saper distribuire con senso di equità e di giustizia sia gli uni che gli altri. Niente è più diseducativo che dare un premio così tanto per darlo, senza che esso sia rapportabile ad alcun merito. Al contrario, un insegnamento molto utile per la vita stessa consiste nel far comprendere al figlio che i premi si devono sempre meritare, nel senso che rappresentano la giusta ricompensa per un comportamento o un atto lodevole, uno sforzo o un sacrificio portato a buon compimento, o un bel proposito che si è riusciti a realizzare.  Lo stesso dicasi del castigo, il quale non può che essere giudicato ugualmente legittimo e giusto, proprio in quanto, come spesso accade nella vita, va ritenuto la conseguenza negativa di un comportamento scorretto, o di un’azione sconsiderata e talvolta dannosa non solo per se stessi, ma anche per altri.

Affermare che il padre e la madre sono visti dal figlio come modelli non significa che essi devono per questo risultare perfetti. Il genitore perfetto non esiste e, d’altra parte, da lui non va pretesa la perfezione, così come non va pretesa neanche dal figlio. La cosa più importante è il dialogo, la comunicazione, che sono cose importantissime tanto tra figli e genitori, quanto tra il padre e la madre, i quali devono condividere uno stesso progetto educativo e, agli occhi del figlio, non devono gareggiare, per cercare di mostrarsi l’uno più buono e comprensivo dell’altra. L’altra grande e insostituibile risorsa dell’educazione genitoriale è costituita dall’esempio, nel quale devono poter trovare sempre assoluta conferma le cose e i principi affermati attraverso il dialogo e la comunicazione.

Un’ultima considerazione: come è stato già ribadito, il ruolo dei genitori risulta sì fondamentale per il buon esito del processo di crescita del figlio, ma, come in tutte le cose della vita, con i figli ci vuole pure tanta ma tanta fortuna.

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