Il giornalismo dei giorni nostri

L’odierno mondo giornalistico, come è giusto e naturale che sia, si presenta indubbiamente alquanto cambiato rispetto a trenta o quarant’anni addietro. Sono in atto ormai da tempo novità rilevanti che hanno reso piuttosto variegato, non solo nel nostro Paese, ma a livello planetario, il panorama dell’informazione. Un primo importante cambiamento è venuto a determinarsi per effetto della forte concorrenza esercitata dall’informazione televisiva. Le televisioni, infatti, affiancando alla figura tradizionale del giornalista quello a mezzo busto, hanno finito col sottrarre tanti lettori ai giornali di carta stampata. Si vanno, inoltre, sempre più diffondendo i giornali on line,  così che il mercato della carta stampata, specie nell’Italia meridionale, è crollato dell’ottanta per cento, causando la chiusura di tante piccole testate, che non sono riuscite, a fronte del forte crollo delle vendite, a reggere i pesanti costi di produzione e le conseguenze delle nuove forme di concorrenza.

Un’altra non meno importante novità è stata prodotta dalla sempre più ampia diffusione di Internet, che ha di fatto finito col cancellare la figura stessa del giornalista, così come l’avevamo finora conosciuto. Oggi chiunque può aprire sul Web un sito d’informazione, senza dover sottostare ad alcuna prescrizione e senza dover sottoporre la propria opera informativa ad alcun controllo né di carattere culturale e professionale, nè tantomeno di carattere etico-deontologico. Si tratta di una libertà di stampa, rivoluzionaria per certi versi, nel senso che essa non è soggetta ad alcuna regola e tramite la stessa si possono, a getto continuo, diffondere notizie di qualunque genere, spesso del tutto infondate e completamente false. E, d’altra parte, i social-network, su cui si pubblicano foto, filmati, video, sono diventati i mezzi d’informazione oggi più letti e seguiti. A questi vanno aggiunti i tanti blog, nei quali un Pinco Pallino qualsiasi può arrogarsi, anche immeritatamente, la qualifica d’informatore. Accade così che il mestiere del giornalista, pubblicista o professionista che sia, rischia di scomparire dal panorama futuro delle attività lavorative.

La verità è che il mondo dei giornalisti di oggi assomiglia molto a quello dei calciatori, in cui, a fianco dei pochi fortunatissimi che godono di lauti guadagni, ce ne sono tanti che a stento riescono a racimolare giusto quel che serve per vivere; per non parlare dei tanti che prestano la propria opera gratuitamente. Ed è senz’altro un fenomeno oltremodo disgustoso che, nel settore giornalistico, si sia formata una vera e propria casta, dal momento che alcuni giornalisti, diciamo così, privilegiati, oltre a dirigere una testata giornalistica e a condurre qualche programma televisivo, godono di una presenza quasi quotidiana nei talk show più seguiti. Qualcuno di essi, come Maurizio Belpietro, a motivo della sua collocazione ideologica di destra, ovvero col pretesto della par condicio, risulta onnipresente su tutte le reti televisive, cioè su Mediaset, su Rai e su La 7.

Per quanto il nostro giornalismo risulti caratterizzato dalla presenza di un fitto numero  di “grandi firme”, a frequentare gli odierni talk show televisivi sono sempre gli stessi: oltre a quello sopra citato, figurano immancabilmente Paolo Mieli, Marco Damilano, Alessandro Sallusti, Massimo Franco, Massimo Giannini, tanto per fare qualche nome. Ora, senza voler mettere in dubbio le qualità professionali di detti signori, è legittimo domandarsi per quale ragione gli stessi continuino a godere indisturbati di questo privilegio, che oltretutto consente loro un notevole guadagno. Si pensi, inoltre, ad un programma serale come quello condotto da Lilly Gruber, “Otto e mezzo”, che da tempo si è trasformato ormai in una sorta di Succursale de Il Fatto Quotidiano, visto che vi presenziano stabilmente gli esponenti più autorevoli di detto giornale, come il suo direttore Marco Travaglio, Antonio Padellaro, Andrea Scanzi, Peter Gomez e Ferruccio Sansa. Chi scrive ha cessato da tempo di guardare simili programmi, perché disgustato da questa assurda quanto detestabile dittatura dell’opinione. C’è da sentirsi profondamente offesi nell’intelligenza e nella dignità a star dietro alle scontate opinioni di questi giornalisti, che si arrogano la pretesa del possesso della verità assoluta e che, a dispetto delle loro posizioni sfacciatamente di parte, sentenziano di continuo su questo e su quello come dei Soloni, facendo persino il processo alle intenzioni del politico posto sulla graticola delle loro feroci critiche.

Non va dimenticato che il nostro Paese, a livello informativo, presenta ormai da decenni una situazione, a dir poco, anomala, a motivo del fatto che un numero rilevante di giornali, sia di carta stampata che televisivi, risultano di proprietà di uno degli attori principali della scena politica da vent’anni a questa parte. C’è poco da stupirsi se su questi giornali si leggono quotidianamente articoli improntati a odio viscerale e volti unicamente a denigrare gli avversari politici coprendoli di fango. È sufficiente, per farsene un’idea, dare per qualche giorno una semplice occhiata ai titoli di detti articoli. Ma è comunque nel contesto televisivo che, a prescindere da ogni logica di buon senso, si scatenano maggiormente i giornalisti schierati e platealmente svenduti a questo o a quel gruppo politico, i quali, pur di rosolare a fuoco lento il partito politico preso di mira, si servono strumentalmente dei più accaniti avversari interni dello stesso, come D’Alema, tornato per questo ad essere la mascotte dei vari salotti televisivi.

Uno dei tasti più dolenti del giornalismo italiano, come è noto, è da sempre rappresentato dalle discutibili forme di accesso alla professione. Non c’è attività lavorativa più condizionata dal clientelismo, quanto quella di cui si sta trattando, alla quale appunto non si accede che, in casi molto rari, attraverso un apposito esame preliminare, o per concorso. Per entrare a far parte della redazione di un giornale che conta, bisogna essere figli, o nipoti, o “amici” di giornalisti, per effetto del cosiddetto “clientelismo ereditario”, al quale va affiancato quello “partitico”. Un semplice sconosciuto avrebbe potuto fare la carriera di una Bianca Berlinguer, senza un cognome tanto prestigioso come il suo? Certamente più facile risulta fare praticantato in un giornale locale, in cui a contare sono, il più delle volte, le qualità culturali, tecniche e professionali che gradualmente si acquisiscono sul campo.

Una grave pecca del settore è, senz’altro, costituita dalla mancanza di una vera e propria scuola di giornalismo. Da alcune Università vengono organizzati master biennali di formazione giornalistica e da più anni ormai è stato istituito il Corso di laurea in Scienze della comunicazione, tra i cui sbocchi professionali sembra, tuttavia, avere maggiore forza il settore del “marketing, della comunicazione d’impresa, delle attività promozionali, degli uffici di relazioni con il pubblico, degli uffici stampa, nelle redazioni editoriali e nell’organizzazione aziendale”. Sta di fatto che l’eventuale possesso sia dell’uno che dell’altro titolo accademico non fornisce alcuna garanzia d’inserimento automatico nel settore informativo; del che sono testimoni, loro malgrado, i tanti giovani che con detti titoli, ma privi di santi in paradiso, non riescono ad andare da nessuna parte.

Nel più recente quadro giornalistico sono venute ampliandosi le funzioni stesse dell’informazione, nel senso che dalla classica funzione pedagogica, non già dell’informare fine a se stesso, ma dell’informare per aiutare il lettore a capire, si è passati all’informazione-spettacolo, in cui la parte del leone, a livello televisivo, è svolta dalle immagini crude, da un lato, e dalla netta contrapposizione delle opinioni, dall’altro, non già di giornalisti, ma di personaggi ben noti al pubblico. In questo settore il personaggio esemplare è rappresentato da Vittorio Sgarbi che da critico d’arte si è trasformato, a tutti gli effetti, in un vero e proprio tuttologo a tempo pieno, quasi quotidianamente interpellato su faccende di ogni genere. Ad accreditare un’opinione non è più lo spessore culturale e critico della persona che la esprime, ma la semplice notorietà della stessa. Si pensi a colui che a noi piace definire il santone del giornalismo televisivo, ovvero Maurizio Costanzo, la cui opinione, qualunque essa sia, risulta apprezzata in quanto ritenuto ormai un personaggio d’indiscusso carisma, specie da coloro che lo contornano durante le trasmissioni e che, dato il suo enorme potere, non possono certo permettersi di esprimergli una, sia pur lieve, critica.

Il giornalismo di vecchio stampo preferiva volgere la propria attenzione verso i processi, non verso gli eventi, muovendo dal presupposto che ciò che deve più interessare il lettore sia risalire alle cause da cui i fenomeni, ovvero gli eventi, sono generati e ai meccanismi del loro svolgimento. La verità è che, al giorno d’oggi, si teme di affaticare troppo il lettore a volergli far comprendere il funzionamento della realtà, per cui si preferisce spiattellargli sotto gli occhi solo fatti, solleticare la sua curiosità più viscerale e suscitargli nient’altro che emozioni di segno opposto. La funzione giornalistica si traduce così nel registrare quanto più eventi possibile, tenendo presente che l’interesse del lettore si accresce se l’evento riguarda non uno sconosciuto, ma una persona nota; se si tratta di un fatto spettacolare ed inedito e se si descrive il negativo, non il positivo presente nella realtà.

Il rischio a cui sovente si espone invece l’informazione locale è quello di far consistere la propria funzione nel celebrare, ovvero nell’incensare ed enfatizzare, qualunque cosa accada nel territorio di riferimento. L’informazione in questo caso funge unicamente da cornice, allo stesso modo in cui, in  una cerimonia nunziale, funge da ottima ed immancabile cornice il fotografo. Una funzione questa che ben s’intona con la vanità da cui da sempre risulta affetta la categoria dei giornalisti, portati a considerarsi scrittori nati, profondi pensatori ed esperti di tutto. E poi spesso la piccola testata giornalistica locale – sia che si tratti di un giornale televisivo o di carta stampata –  è fortemente tentata di prestare il fianco a questo o a quel politico, vanitosamente bisognoso di continua visibilità. Mentre, specie dalle nostre parti, ci sarebbe tanto bisogno invece di un giornalismo critico e indipendente, d’inchiesta e di denuncia, che mettesse a nudo ciò che continua imperterrito a non funzionare, per cercare di aiutare la cultura locale a crescere, per far nascere una nuova mentalità e per spingere a comportamenti dettati da maggiore senso civico.

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