Tv, internet e giovani d’oggi

Dell’incidenza della televisione e di internet sulle nuove generazioni si discute poco o niente, persino nella scuola, che alla stessa dovrebbe interessarsi più di ogni altra agenzia educativa. Eppure, la rilevanza di detto fenomeno è obiettivamente enorme ed anzi la sua attualità continua, di anno in anno, a crescere per il diffondersi inarrestabile del degrado televisivo, da un lato, e della connessione alla rete, dall’altro. Gli utenti più numerosi dell’uno e dell’altro mezzo sono ovviamente proprio  i giovani, immancabilmente provvisti, se non del computer, quantomeno dello smartphone. Di quale uso sia fatto dalle nuove generazioni di internet ci occuperemo, tuttavia, in un prossimo saggio; qui preferiamo soffermarci sugli effetti che la massiccia esposizione televisiva ha determinato e continua a determinare sui processi formativi giovanili.

La grande invadenza televisiva ha avuto inizio, come è noto, a partire dalla liberalizzazione delle emittenti private del 1976, che ha prodotto una televisione non regolata più da alcun limite, né di orario, né di genere. Trasmissioni di qualunque tipo hanno cominciato, da allora, a straripare nelle case a tutte le ore, riuscendo più facilmente ad accalappiare i telespettatori più giovani, i quali trascorrono mediamente dalle 3 alle 5 ore al giorno davanti al televisore. Sono così ormai cambiate, forse irreversibilmente, le abitudini domestiche delle famiglie: i compiti scolastici sono inevitabilmente eseguiti con la TV accesa e si consuma la colazione del mattino allo stesso modo.

Gli studi sull’argomento risultano prevalentemente orientati verso gli aspetti morali della questione, come la sessualizzazione precoce, ovvero la scomparsa dell’infanzia, o l’americanizzazione dei costumi, o la diffusione dei disvalori, o la fine del libro, ecc. La televisione viene vista come una “scuola parallela”, fortemente concorrenziale rispetto alla scuola vera e propria, che nella maggior parte dei casi è giudicata dai ragazzi come poco stimolante o addirittura noiosa.

Come è noto, sull’argomento si sono storicamente costituiti due orientamenti di pensiero, denominati con le parole di un famoso saggio di U. Eco: quello degli apocalittici, portati a demonizzare la televisione e ogni altra manifestazione mass-mediatica e a non intravedere alcuna possibilità di ridimensionarne lo strapotere sulla vita odierna, in particolar modo sui soggetti in formazione; e quello degli integrati portati invece ad intravedere in tutti i mass-media un poderoso strumento di sensibilizzazione dell’uomo nei confronti del mondo.  Vanno comunque definiti errati entrambi gli orientamenti appena descritti, nel senso che estremizzano la questione o in un senso o nell’altro, senza riuscire a cogliere i termini reali della stessa.

Una delle più rilevanti conseguenze della massiccia esposizione televisiva sulla formazione dei nostri ragazzi consiste nella limitazione del bagaglio esperienziale e delle occasioni socializzanti, dal momento che guardare la tv è diventata – per dirla con le parole dello storico P. Ginsborg – “la terza grande attività dell’uomo moderno”. C’è poco da  sorprendersi del fatto che l’immaginario collettivo, il comportamento, il costume, il quadro valoriale e le abitudini di vita della persona risultino fortemente influenzate proprio dalla televisione. Ma al di là della limitatezza dei suoi contenuti risulta negativa, più di ogni altra cosa, la modalità della fruizione, che va definita non tanto passiva, quanto piuttosto emotiva per il linguaggio televisivo, ricco di fascino e di suggestioni. La suggestione  – si sa –  non è della parola; è la forza delle immagini, dei suoni ad accendere l’emotività.

La studiosa americana M. Winn, che si è occupata a lungo del fenomeno, preferisce definire come un vero e proprio stato di trance l’effetto generato dalla televisione sui soggetti più piccoli. Insomma, tutto il contrario di quanto accade nella scuola attraverso l’applicazione dei cosiddetti metodi attivi. La televisione può essere classificata piuttosto come la forma moderna della vecchia scuola trasmissiva di una volta, nel senso che non tiene conto né dei codici linguistici, né delle abilità logico-cognitive, né dei modelli simbolici propri delle diverse età.

La televisione incoraggia la pigrizia, sposta cioè l’asse della conoscenza sulla ricezione, così che abitua già fin da piccoli a ricevere informazioni, non a ricercarle, né ad elaborarle. L’edonismo, che è insito nel mezzo, spinge a rifiutare ogni attività intellettuale che comporti applicazione, sforzo, fatica. A subire le più gravi conseguenze di ciò sono la lettura e lo studio. Dal punto di vista emotivo, la Tv inibisce infatti l’insorgenza della motivazione allo studio, ovvero di un atteggiamento favorevole alla lettura, e la trasformazione di questa in valore.

L’altro aspetto negativo è costituito dalle preferenze dei ragazzi orientate verso film, telefilm e reality. Con l’avvio dell’emittenza privata è avvenuta una radicale trasformazione dei contenuti dei programmi, e la funzione prevalente del sistema televisivo da sociale-educativa è divenuta prettamente economica. A decidere cioè la bontà o meno del programma televisivo sono esclusivamente gli indici di ascolto, per cui ogni altro genere di considerazione passa in secondo ordine. Con la proliferazione delle emittenti private si sono determinati il dominio dei programmi di evasione, da un lato, e la scomparsa di uno spazio TV riservato ai ragazzi, dall’altro.

Dal punto di vista cognitivo, la televisione favorisce la difficoltà di attenzione e l’atteggiamento della superficialità, dal momento che il giovanissimo telespettatore è sottoposto di continuo a vari e veloci stimoli. Non è affatto casuale che i ragazzi odierni siano sempre più frequentemente riconosciuti in ambito scolastico come poveri di idee, schematici e superficiali. Ma a difettare più di tutto nelle ultime generazioni è la fantasia, ovvero la capacità immaginativa, inibita appunto dalla visione televisiva e potenziata invece al massimo dalla lettura. Gli effetti del guardare la tv non possono in alcun modo essere paragonati a quelli  del leggere o dell’ascoltare una narrazione; e, d’altra parte, non è solo la fantasia, l’immaginazione che vengono stimolate con la lettura o con l’ascolto, ma attraverso gli  stessi si ha modo di apprendere tanti modelli e forme di lingua, tanti stili, costrutti, parole e significati nuovi. Oltretutto, il bombardamento di messaggi diversi non favorisce lo sviluppo della capacità organizzativa, ovvero l’ordine del pensiero, di cui deve farsi invece carico la scuola, alla quale spetta il compito di mettere ordine in quel guazzabuglio di notizie e di messaggi, confusi e frammentari, approfonditi e superficiali, che sono quotidianamente offerti dai molteplici canali televisivi.

La televisione non ha un linguaggio, ma il linguaggio dei programmi fictional (preferiti in modo particolare dalle ragazze) è il linguaggio che racconta (nel medium televisivo sono le immagini che raccontano); è un linguaggio parlato, fatto di frasi ad effetto, con neologismi tecnico-fantastici, come quelli adoperati nei fumetti e di grande presa sul  pubblico dei ragazzi. Forma, in questo senso, una sorta di patrimonio linguistico gergale. L’influenza riguarda vocabolario, fraseologia e pronuncia.

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